"ici Agazzi"....Maria Luisa

PRESENTAZIONE

L'idea di questo blog è proprio una bella possibilità che mi viene data per aprirmi meglio agli altri. Tramite il progetto di "Informabile" e mediante la vostra collaborazione avrò l'opportunità di far conoscere la mia esperienza; chi sono, cosa mi è successo, dove sto e cosa ho fatto in questa particolare situazione. Al contempo avrò la possibilità di mettermi in contatto con chi troverà qualcosa, in quello che esporrò, da condividere con me e chissà cos'altro......
Mi chiamo Maria Luisa Micci, sono romana, ho fatto la professoressa di ragioneria, tecniche commerciali e turistiche in varie scuole del settore, a Roma. In ultimo avevo ottenuto la cattedra defitiva nell'Istituto professionale "Giulio Romano" sito nel quartiere "Trastevere" dove anche alloggiavo in un appartamento dietro piazza San Cosimato. Chi conosce la città può ben capire quanto questi specifici luoghi siano particolari e mi abbiano dato la possibità di contatti umani e cultrali diversi e formativi.
Purtroppo, nella mia vita già bene organizzata e programmata, nel 1985 ebbi un incidente automobilistico dal quale riportai un trauma cranico e restai in come per circa un anno. Dal punto di vista neurologico non riportai gravi problemi, ma la mia totale emiplegia destra non è andata mai migliorando.
In Francia dopo il coma, sono stata ospite in un istituto specializzato, infatti lì sono riusciti a mettermi finalmente in posizione verticale; con l'aiuto del fisioterapisa riprendevo a fare i "primi passi". Purtroppo dopo tre anni sono dovuta rientrare in Italia.
Dopo aver peregrinato in vari istituti romani ed essendomi morti entrambi i genitori, i miei parenti aretini hanno fatto in modo che venissi ospitata nell'Istituto di Agazzi in provincia di Arezzo. Sono ormai quindici anni che sono qui: Istituto di riabilitazione "Madre della Divina Provvidenza".
Di particolarmente importante fra le altre cose qui ho potuto imparare l'uso del PC; ciò mi ha cambiato la vita. Acquisiti gli elementari strumenti di conoscenza per l'uso di questo  importante strumento tecnologico, ho pensato di usarlo per raccontare la mia esperienza di vita anche antecente. Ho scritto un libro sulla mia degenza qui ad Agazzi, riallacciandomi alla vita che conducevo prima dell'incidente.
Insieme alla logopedista autrice di "Informabile", abbiamo deciso di pubblicare il mio libro diviso in alcune parti per renderne maggiormante fruibile  la  lettura e sperando che ciò vi stimoli a riflettere, pensare ed eventualmente a postare commenti o suggerimenti nell'apposita casella sottostante.  

IL LIBRO
PARTE PRIMA


Maria Luisa Micci
IçI AGAZZI

Diversamente abili, fisici e mentali,
dell’Istituto“Agazzi

Arezzo 2001

SOMMARIO

PARTE PRIMA

L’autrice e prologo del testo
Nota dell’autrice del presente lavoro
Questo lavoro per me
Presentazione
Chiesa e ritiro a S. Giuseppe
Breve excursus storico del Centro
Il centro "Agazzi"
Riabilitazione
Fisioterapia
Terzo piano
Visita all'istituto Madre della Divina Provvidenza
Aspetto affettivo e dintorni

2° Piano varie realtà
4° Piano: Epilettici, ritardati mentali, autistici e altri.
Altri
Costa Adriatica, Roma e Argentario

Lourdes
Conclusioni


L’AUTRICE E PROLOGO DEL TESTO

Maria Luisa è nata a Roma nel 1947 e quì si è laureata in Economia e Commercio alla Sapienza. Nel 1970 ha vinto una borsa di studio che le dava diritto a partecipare all’UEM, meglio conosciuta come “Université Mediterranée d’Eté” a Aix en Provence. Lì ha perfezionato i suoi studi di carattere umanistico e contratto rapporti di amicizia ancora oggi validi e persistenti. Non a caso ha scelto di chiamare il suo scritto “IçI AGAZZI”; questa esperienza è stata fondamentale per la sua formazione culturale e politica.
Data l’epoca, la fine degli anni sessanta, quando i giovani erano particolarmente sensibili all’aspetto del vivere sociale, quest’avvenimento l’ha molto segnata. Un periodo, un movimento, che i sociologi dell’epoca definirono “della contestazione giovanile”, a cui lei ha partecipato attivamente, tanto che già cominciò a sentirsi cittadina di una futura, prossima Europa.
Dopo l’abilitazione all’insegnamento è stata nominata per conto dello Stato, al Lido di Roma. Precedentemente aveva fatto esperienza in istituti parificati privati. In ultimo è approdata con nomina definitiva alla scuola superiore per il commercio “Giulio Romano”, che era situata nello stesso quartiere dove a Roma abitava: Trastevere.
Era molto attiva nell’ambito delle attività culturali adiacenti gli interessi della scuola. Si occupava di teatro e/o di quegli eventi che variamente arricchiscono le conoscenze dello studente, diversificandone di fatto l’apprendimento e la conoscenza critica, sviluppando in tal modo il progetto di un percorso più armonico e al contempo più completo rispetto a quello di base.
In precedenza aveva tenuto dei corsi di “animazione teatrale” al mitico liceo classico “Mamiani” della capitale, avvenimento che lei ha sempre reputato molto importante per la sua formazione professionale e umana.
Nel settembre 1985, finiti gli esami di riparazione nella qualità di commissario (allora ancora esistevano), ritornando da Sperlonga, località marina vicina al Circeo, ha avuto un incidente automobilistico. Dedussero che la persona alla guida avesse fatto in modo che la macchina si sarebbe rigirata su se stessa. Non hanno mai bene chiarito quello che realmente successe e il perché fosse accaduto.
Il trauma cranico riportato l’ha fatta restare circa un anno in coma non vigile. Al risveglio si è trovata emiplegica. Non le funzionava quasi per niente la parte destra del corpo.
Dopo vario peregrinare in cliniche e diversi istituti di riabilitazione, aiutata da alcuni parenti che abitano nella città di Arezzo, è approdata al centro di “Agazzi”. Questi è sito nella omonima località, vicinissimo alla città di cui sopra. Qui ha potuto apprendere l’utilizzo del computer, che la solerte e preveggente cura dell’amministrazione di tale centro le ha fornito, di fatto avendo così l’opportunità di potersene servire. In seguito ha potuto comprarsene uno ed, essendo di sua proprietà, ne ha imparato l’uso anche per finalità differenti.
Questa, che può sembrare una normale realtà di fatto, è stata per la redattrice del presente lavoro, ospite del su nominato centro, una autentica rivelazione. è proprio tramite l’utilizzo del suddetto strumento che le è nata l’idea di fare uno scritto circa questa esperienza che lei ha vissuto in prima persona.
Trattare della realtà dei disabili fisici e mentali, che da “interna” era venuta meglio a conoscere, è diventato quasi come un dovere. In definitiva, ha voluto far conoscere l’esistenza di chi vi abitava, vi lavorava o svolgeva al suo interno abitualmente o saltuariamente altre tipi di funzioni. Insomma far sì che si avesse la possibilità di saperne di più, di entrare in modo indiretto, ma effettivo, a contatto con quel tipo particolare di patologie.
Il Centro è costituito da un edificio principale di quattro piani, che ospitano varie patologie di persone disabili. Vi sono anche altre strutture esterne a questo edificio, come le “case famiglia”, che dipendono anch'esse dall’Istituto medesimo. Continuando la descrizione nei vari piani c’è il bar, il locale che funziona da chiesa, le palestre per l’attività fisioterapica, le infermerie, il laboratorio di ceramica e altri spazi. Questi ultimi sono stati stimati necessari per svolgere talune particolari attività di riabilitazione. Proprio queste le hanno reputate essere coadiuvanti per un graduale superamento psicofisico di taluni ospiti-ammalati. Al contempo hanno potuto così soddisfare richieste esterne che ormai il Centro, acquisita una certa fama nel settore, recepiva.

NOTA DELL’AUTRICE DEL PRESENTE LAVORO

Mi sono ritrovata a vivere una realtà particolare, a volte molto dura, infatti non è facile passare ventiquattro ore su ventiquattro con dei disabili mentali, anche se innocui e quindi di fatto non pericolosi. L’attenta, vigile cura ed opera di molti educatori mi fa stare, dal punto di vista della sicurezza fisica, tranquilla.
Sarebbe auspicabile che ci potesse essere un istituto apposta, adibito per coloro che sono affetti da handicap fisici, distinto da quello più adatto a curare specificamente i disagi mentali. Ce ne vorrebbero dislocati in modo tale che gli abitanti dell’intera penisola potessero accedervi. Non dico di essere presenti in ogni regione, ma esistere a sufficienza, in modo da poter rispondere adeguatamente alle sempre crescenti necessità del settore.
Fortunatamente in Toscana i Padri Passionisti hanno allestito il Centro “Agazzi” per disabili; non penso che sia l’optimum, ma qui nella regione è già una bella e provvida realtà. Io, pur venendo dalla capitale, per lunghe degenze non avevo trovato nulla che potesse adattarsi meglio a soddisfare le mie necessità.
Fortunatamente bisogna riconoscere che era in funzione questo istituto e ha potuto accogliere i degenti del “RAM”. è successo quando è stato chiuso il manicomio comunale di Arezzo. Ricordo bene che, quando alcuni suoi ospiti sono arrivati qui da noi, si è subito capito quanto fossero bisognosi di cure e attenzioni primarie.
Mi piacerebbe che questo lavoro servisse almeno a sensibilizzare l’opinione pubblica, a far sì che si potesse non dico risolvere, ma quanto meno affrontare il problema che ho sopra esposto. Che cioè ci fossero più centri di cura per disabili, con una più attenta distinzione fra le varie patologie; questo per me sarebbe già un gran risultato.
Ugualmente lo sarebbe divulgare con più incisione la realtà dei suddetti. Più genericamente di tutti coloro che per vari, davvero innumerevoli motivi, si trovano a vivere una più difficile esistenza. Come è il caso, per l’appunto, di quella dei disabili.

Ringrazio per l’attenzione

MARIA LUISA MICCI









ANNO 2000
INIZIO NUOVO SECOLO

QUESTO LAVORO PER ME

Ho iniziato questo lavoro solo dopo che hanno assegnato alla bella Cristiana la conduzione come educatrice del mio gruppo. Le ho dato in questa trattazione il nome di mia nipote, la figlia di mio fratello Carlo. L’idea, di fare da qualche tempo una trattazione sul mio vissuto era diventata per me come una necessità.
Non ho nessuna intenzione di sottovalutare l’apporto in ausilio che lei mi ha fornito nell’uso del computer. Come pure la sua disponibilità a soddisfare la mia grande, ma credo normale, curiosità ad avere notizie riguardanti l’Istituto. La sua attenta, costante e solerte presenza mi è stata di stimolo per il compito che mi ero prefissata.
Voglio affermare e riconoscere quanto mi è stato utile, nonché prezioso, l’affettuoso e veramente instancabile ausilio, anche finanziario, del mio fratellone: Carlo. Senza sosta ha provveduto alle mie necessità. Questo fino a quando non mi è stato riconosciuto e maturato il diritto a percepire la pensione di insegnante.
La responsabilità di quanto scriverò sarà solo mia. Si consideri che sono io che ho scelto le domande da porre e, conservandone la risposta nella memoria, ne ho poi fatto l’utilizzo quando l’ho ritenuto più opportuno. Le risposte riportate sono autentiche, la scelta fatta, riguarda le risposte che ho reputato più consone.
Come non ringraziare Maddalena, che mi ha molto aiutata. Lei sta in portineria, risponde al telefono, è la nostra centralinista. Ciò è stato possibile rubandole il limitato suo tempo di “respiro” che ha tra le incombenze. Io posso lavorare solo con la mano sinistra e non bene, perchè è lievemente tremolante. Lei mi ha spesso coadiuvata quando le sue incombenze glielo permettevano. Ricordo perfettamente quanto mi è stata utile a mettere in ordine i fogli del mio lavoro. Con buon profitto si è sostituita alle funzioni che avrebbe dovuto assolvere la mia mano destra, se non fosse stata disabile.
Vanno inoltre riconosciuti alla mia educatrice Loretta molti meriti. Ora è in maternità, ma è sempre presente in me la fiducia, l’aiuto che mi ha dato infondendomi fede e coraggio. Sono proprio contenta per questa futura nascita; l’attesa di questo figlio l’ha resa piena di gioia e lei la sa trasmettere con generosità. Se tanto mi dà tanto, immagino la sua felicità a lieto evento avvenuto.
Desidero anche ricordare la solidarietà e il concreto aiuto fornitomi da Fabrizio Giorgeschi, ormai psicologo del Centro, nonché mio caro amico. Pur non essendomi stato vicino fisicamente, ha svolto negli ultimi periodi ruoli e mansioni diverse, idealmente la sua persona non mi è mai mancata. Il nostro rapporto si avvale di svariate esperienze che abbiamo vissuto entrambi con partecipazione.
Inoltre voglio dire che non dimenticherò tutti coloro che mi hanno supportato dandomi delle informazioni che mi erano necessarie e hanno reso così possibile che procedessi alla redazione di questo scritto.
Alcuni mi hanno chiesto di non indicare il proprio nome ed io ho prontamente aderito, anche per una corretta applicazione della legge sulla privacy. Altri, da me informati, non hanno manifestato alcuna obiezione. Mi hanno dato la libertà di procedere nel modo che reputassi più opportuno.
Di fatto questa si è rivelata una iniezione di salutare fiducia; li ringrazio in modo particolare.

PRESENTAZIONE
 
Quando sono uscita dal coma i miei genitori, all’epoca ancora vivi, mi hanno mandato a curare a Marsiglia e lì, anche aiutata da amici del posto, ho trascorso tre anni positivi.
Dal punto di vista medico, in un centro specializzato del luogo, sono riusciti a mettermi non occasionalmente in posizione verticale. è stata una profonda emozione, ormai da grande, provare quello che può sentire un bambino quando arriva ad ergersi sui suoi piedini. Scoprire così dall’alto quasi un “altro mondo”.
Di nuovo, anche per me, c’era la possibilità di vedere le cose che mi circondavano non solo più in orizzontale, ma da una posizione più abituale a quella degli altri esseri eretti.. Quello è stato per me l’inizio di una ripresa che credo non si sia più fermata.
Se oggi sento il dovere di redigere questo scritto, è per usare un altro modo per dire “grazie” a chi mi è stato vicino, a chi mi curò con coraggio e non mi abbandonò. Mi è stata data solidarietà con fede, con professionalità e competenza, tanto da riportarmi dallo stato quasi vegetativo a persona eretta, pensante ed agente.
Dopo tre anni sono rientrata in Italia, anche perché mio fratello gemello, che era rimasto con me per tutto quel periodo, doveva riprendere la sua vita normale, riprendere a lavorare.
Non penso che all’epoca io riuscissi a capire bene la situazione che si era venuta a creare, ma credo di essere stata curata in Francia al meglio.
Purtroppo, rientrata in Italia, le cure che ho potuto effettuare qui non possono essere comparate a quelle che in Provenza mi erano state praticate. Quelle, pur essendomi state elargite in una struttura pubblica e senza ulteriore esborso di denaro, mi sento in dovere di affermare che mi sono state praticate in modo caparbio e minuzioso.
Di quel periodo ricordo che erano passati solo quattro anni dall’incidente, quando il centro che mi ospitava e dove mi curavo ci portò allo stadio a vedere una partita di football della quadra locale. Il calcio non è mai stato uno sport che io abbia amato in modo particolare, ma credo che, e non ho alcun dubbio in proposito, in quella occasione sia stato da me apprezzato.
Ho aspettato quasi tredici anni affinché si avverasse un’altra occasione similare. Infatti è stato proprio venendo al centro “Agazzi” che sono potuta andare a vedere lo spettacolo ”Vota la Voce”. è proprio all’interno della manifestazione “30 ore per la vita” che credo si tenga con ricorrenza annuale. Io l’ho visto in Piazza Grande ad Arezzo, che è con esattezza chiamata Piazza Vasari. Si trova nella parte vecchia della città dove si tiene anche l’antica “Giostra del Saracino”.
Ero andata a vedere questa manifestazione insieme a quelli del gruppo della “Comunità” e con i loro vivaci educatori. Questa combriccola, così formata, è andata anche varie volte a teatro; sempre insieme abbiamo visto altri spettacoli, che sono passati all’inizio del nuovo secolo ad Arezzo. Fra questi ricordo con viva gioia quelli dati da: Panariello, Gianni Morandi, Bennato, e ancora Teo Teocoli e Gigi Proietti. Come normalmente accade, mi hanno interessata e coinvolta ciascuno in modo diverso. Con il magico Proietti ho fatto una vera e propria rimpatriata, un tuffo nell’umorismo della mia città: Roma. è un artista che non risulta mai volgare, io credo che ci si trovi di fronte ad un grande mestierante.
Non pensavo che mi sarebbe stato più possibile fare simili uscite; questo piacevole avvenimento mi ha riportato a prima dell’incidente, quando con gioia partecipavo attivamente all' “Estate Romana”. Erano gli anni ottanta e l’assessore alla cultura di Roma dell’epoca: Nicolini ci preparava delle estati veramente piacevoli e nuove.
Con l’allora sindaco Argan, hanno fatto cose che la gente di quel periodo e chi era giovane non potrà facilmente dimenticare. è da considerare che era una delle prime volte che la municipalità assumeva mansioni di vero e proprio impresario.
Tutto ciò, oltre a fornire un accurato divertimento, mi ha dato l’opportunità di fare delle conoscenze e amicizie che a tutt’oggi, nonostante questa mia lunga malattia, sono presenti e quanto mai importanti. Quel periodo ha coinciso coi miei trent’anni: un’età piena, matura al punto che non ci si sente più solo giovani. In prevalenza non si cerca soltanto pura evasione, ma si dà importanza a situazioni più formative.
Forse ero anche paga del rapporto ravvicinato con i giovani: i miei studenti e non avvertivo troppo l’urgenza, la necessità di avere dei figli miei. Mi sembrava di avere un tempo infinito a disposizione, ma ora, tenuto conto di come sono andati gli accadimenti, dico che forse è stato meglio che non mi sia formata una mia famiglia. Chissà quale sarebbe stata in quel caso la mia vita? Non ho comunque rimpianti.
Oggi sono di fatto una persona almeno serena, sapendo che oltre alla mia persona l’incidente non ha sconvolto la vita di altri. Non sarebbe stato certo così se avessi avuto prole. I figli sono importanti e quando, causa una cattiva salute, non si può assolvere al privilegio-responsabilità di provvedere alla loro crescita, è un bel guaio.



CHIESA E RITIRO SAN GIUSEPPE 

Siamo in molti qui all’Istituto principale: circa duecento degenti. L’anziano padre Sergio, tra i suoi molteplici impegni, coadiuvato da quello che qui chiamiamo “fra Luciano”, cerca di fronteggiare le nostre necessità di carattere religioso.
Quest’anno la pur breve vacanza di cinque giorni al mare è stata proprio sui generis. Infatti siamo stati ospiti nel ritiro “San Giuseppe” che i frati Passionisti hanno proprio in cima al monte Argentario. E' un luogo che normalmente ospita coloro che sentono la necessità di dedicare del tempo all’esercizio del ritiro spirituale.
Da quel posto magnifico, oltre ad una serenità tutta particolare, si può godere un panorama unico; raramente mi era capitato di emozionarmi così tanto di fronte a una natura così bella e pressoché incontaminata. Dal giardino del “ritiro” si domina tutta la laguna di Orbetello. Si può intravedere Porto Ercole, Porto Santo Stefano, mirare in lontananza persino l’isola d’Elba e altre località famose per le loro attrattive naturali. Non ho mai visto un giardino con una vista tanto entusiasmante; io sono una romana e di bei giardini la mia città può giustamente esser fiera, ma questo mi ha affascinata, direi rapita.
Una vera goduria era anche la vista che si poteva ammirare dal pulmino quando si scendeva il monte per raggiungere il mare. Anche se non ci fossero stati altri motivi di apprezzamento, questa vacanza è stata un notevole ricostituente per gli occhi. Essi infatti, hanno potuto vedere cose quasi uniche e più in generale è stato un vero toccasana per lo spirito. Ne aveva proprio bisogno.
Una cosa che non mi è possibile sottovalutare è che in questa occasione ho conosciuto padre Paolo. E' un  tipo particolare di uomo; non si può restare non attratti dal suo cortese modo di fare: si è messo a nostra completa disposizione. Le nostre educatrici non ne hanno approfittato, anzi era nostro ospite ai pasti principali. Gli educatori  insieme all'infermiera Marta, in cucina sono stati bravissimi ed in poco tempo ci preparavano dei succulenti pranzetti.
Con gioia padre Paolo accettava il loro cortese invito, lui dava l’impressione di gradire con piacere. Al contempo così io mi sentivo meno in colpa per tutto il lavoro in più che gli abbiamo arrecato.
Provvidenziale è stata per me la sua conoscenza; infatti, mi ha fornito quelle informazioni che mi erano necessarie per scrivere un veritiero riepilogo riguardante questo Istituto.
Da molto tempo anelavo averle e lui, che è stato a svolgere la propria funzione negli anni passati qui al “Centro”, mi ha completamente soddisfatta. Spero solo di aver capito tutto bene, di aver trascritto esattamente quanto lui gentilmente mi ha portato a conoscenza.
All’Argentario i Passionisti hanno due monasteri molto belli e particolarmente accoglienti. La cosa deve essere nota perché, proprio nei giorni in cui noi eravamo ospiti nel ritiro “San Giuseppe”, nell’altro monastero, giusto dabbasso, si svolgeva una riunione di tutti i vescovi della Toscana. Non so il motivo della loro riunione, ma essendo presente il vescovo di Arezzo i miei educatori lo hanno invitato a cenare con noi e lui ha accettato.
Piacevolmente ci siamo intrattenuti e speriamo che sia possibile vedere le foto che ci hanno scattato. Durante la serata poi era stato raggiunto dai suoi colleghi vescovi e insieme hanno potuto vedere il tramonto dall’alto del monte e ammirare l'imponente croce illuminata che è sita non molto lontano dal rifugio che ci ospitava.
E' stata una serata molto particolare e non avrei, in altri tempi, supposto di vivere con tanta naturalezza tutto ciò: è stata una serena realtà.
Quando il venerdì siamo partiti, prima di far ritorno ad Arezzo siamo andati a visitare i luoghi caratteristici di quella zona di mare e quello che resta di una antica città etrusca. Mi sono ancora ulteriormente deliziata.



BREVE EXCURSUS STORICO DEL “CENTRO”

Solo occasionalmente, come poc’anzi ho riportato, sono venuta a conoscenza di alcune importanti informazioni che mi necessitavano. Esse mi permettono di illustrare, sia pur in modo succinto, ma spero comunque esauriente, il come e attraverso quali vicissitudini è sorto questo Centro.
In Provincia si sentiva l’esigenza da parte dell’ordine dei Passionisti di strutturare un nuovo “Alunnato” che fosse in grado di rispondere più adeguatamente ai tempi che erano ormai cambiati.
Si individuò un certo apprezzamento di terreno di pressappoco diciassette ettari nella collina di Agazzi. Questi era sito a circa cinque chilometri dalla città di Arezzo. L’appezzamento di terreno apparteneva all’Istituto Missioni Estere di Milano ed è stato solo nel 1949 che, espletate le ultime formalità per l’acquisto, si poté abitare la villa che vi era annessa.
Sin dall’inizio degli anni cinquanta si cominciò a ristrutturarlo per ciò a cui era destinato: un locale della villa si adibì a cappella. Per il resto in un primo tempo i religiosi ne fecero uso per le loro abitazioni.
Fu così che si articolò la faccenda, fino a quando, all’inizio degli anni sessanta arrivarono una cinquantina di alunni. Provenivano dal convento di S. Eutizio di Soriano del Cimino, che è nelle vicinanze di Viterbo. Le condizioni del nuovo “alunnato” erano ancora molto disagiate e allora i ragazzi furono trasferiti al convento di Firenze.
Nel frattempo si pensò bene che bisognava terminare i lavori che erano stati iniziati e così fu fatto. Contemporaneamente si diede l’avvio ad un operato di prevenzione coi ragazzi del luogo. Era il 1962 ed a questa attività si diede il nome provvisorio di “Casa della Divina Provvidenza”.
L’operato svolto fu molto apprezzato, ma con il migliorare della situazione sociale era diminuita la necessità di prestare quel tipo particolare di assistenza.
Ormai la seconda guerra mondiale era finita da tempo e l’Italia stava portando avanti la ricostruzione industriale, anzi si era in pieno boom economico. Con l’industrializzazione del paese, che ormai aveva preso piede, si cominciarono ad avvertire nuove esigenze. Si constatò che la popolazione ora era soggetta a un disagio nuovo, molto diverso dai precedenti. Con il maggiore benessere esso era anche il frutto di una situazione sociale, politica e economica differente.
Solo nel 1965, su consiglio del medico psico pedagogico per ragazzi, si scelse di seguire quelli con insufficienze mentali dai sei ai dodici anni. Iniziò così una nuova esperienza che sfocerà in quella che è la situazione attuale. Da allora si iniziò a farle assistere gli ospiti da medici ed educatori specializzati.
In virtù di una legge emanata negli anni settanta, riguardante gli invalidi, e il conseguente intervento dell’allora ministro della santità, a poco a poco mutò il tipo di ospiti assistiti nell’istituto in oggetto. Il cambiamento fu tale che esso prese una nuova denominazione “Comunità giovanile di Agazzi”.
Purtroppo iniziarono ha sorgere disguidi tra la regione Toscana, i sindacati e i Passionisti, i quali meditavano di porre termine all’attività, ma finalmente terminate le burrascose vicende si arrivò all’attuale sistemazione.
Il nuovo nato prese il nome più generico di ”Istituto per la Riabilitazione”.


IL CENTRO “AGAZZI”
E' una bella, provvida realtà quella della “riabilitazione fisica e mentale” che opera in questo Centro. Essa è stata voluta in primis dai frati Passionisti, tutt’ora sempre presenti. La conduzione, pur essendo negli anni inevitabilmente mutata nei fini e nelle persone, ha comunque conservato validità e vigore innovativo.
C'erano Padre Emidio e padre Sergio, coadiuvati da una équipe non solo medica. Di fatto, insieme ad una solerte amministrazione, anche i Padri presenti oggi, portano avanti tutte le molteplici attività dell’Istituto “Agazzi”. Ho cercato di illustrare il suo sviluppo da una primaria esperienza; le informazioni che ho avuto mi hanno consentito solo questa conoscenza. L’evoluzione di cui poc’anzi ho descritto mi porta a considerare anche il suo prossimo, possibile futuro. Cioè quando il vecchio e ormai superato ospedale della città fu sostituito da una struttura molto più grande ed efficiente, i vecchi locali furono destinati ad altre eventuali, possibili occupazioni.
Qui è subentrato il Centro che solo di una piccola parte dell’edificio dell’antico ospedale cittadino se ne è servito. Ne ha fatto una dépendance operativa, infatti, è lì che ha creato un apposito locale adibito alla manutenzione delle carrozzine che servono al trasporto dei disabili.
Volendo trovare una occupazione retribuita ad alcuni suoi ospiti in grado di svolgerla, ha pensato di entrare nella conduzione della gestione della nuova pizzeria-ristorante di Agazzi: il “Rintocco”. Questa gioiosa realtà si dovrebbe inaugurare fra breve e andrà a sostituire quella che già una volta c’era.
Sempre il medesimo porta avanti l’esperienza che aveva già iniziata, cioè quelle delle “Casa Famiglia” e di taluni appartamenti presi in affitto per conto di alcuni suoi ospiti. Quelli ormai giunti sulla via di una guarigione definitiva. Ci sono ospiti più abilitati rispetto agli altri che insieme ai rispettivi operatori forma il gruppo della “Comunità” di cui mi è capitato già di accennare.
Queste due ultime realtà credo che meritino una più attenta analisi; a parte, in separata sede tratterò di questo modo particolare di condurre la propria esistenza.
Come si può facilmente immaginare le realtà sopra enunciate richiedono per la loro conduzione un’accurata attenzione e abilità. Molto difficilmente tali doti si possono improvvisare, ma di fatto qui stanno ottenendo dei risultati positivi.
C’è da dire che l’impegno, così diversamente articolato, che il Centro oggi si trova a svolgere, è il frutto di molti anni di esperienza nella “riabilitazione”.
Non deve essere stato facile e qualche volta possono essere stati compiuti degli errori, anche perché realtà similari non credo che ce ne siano molte. In tutta Italia e a tutt’oggi penso che queste presenze si possano contare sul palmo della mano.
Di soldi ne devono girare parecchi: nella sede centrale siamo poco meno di duecento persone paganti. Alle normali rette vanno aggiunti gli introiti di quelle attività che, pur dando origine a iniziali esborsi di denaro, nel complesso non possono considerarsi in perdita. Anzi credo siano portatrici di un buon reddito.
Vero è che si devono fronteggiare una miriade di spese, affinché il tutto proceda dignitosamente e con successo. è necessaria una amministrazione attenta, accurata e vigile perché i rischi economici possono essere molti. Quella odierna è un’azienda-impresa privata, dove lavorano molti dipendenti e non è proprio il caso che l’attività vada a picco.

Penso che un’esperienza in questo settore sia importante che possa sopravvivere; soprattutto se si considera - e rimarco - che nel nostro Paese di realtà operanti nella riabilitazione fisica e mentale non ne esistono veramente molte. Di fatto manca, come ho già fatto notare, la possibilità di un sano, reciproco e quindi produttivo raffronto. Cosa questa di cui sarebbe per lo meno auspicabile poter usufruire; un tale confronto è fuor di dubbio che risulterebbe di grande aiuto e beneficio in questa specifica “attività-realtà”.


  RIABILITAZIONE
Qui al Centro la riabilitazione è suddivisa in due grandi tronconi: quella fisica (Fisioterapia) e quella del linguaggio (Logopedia). La prima è attuata soprattutto su adulti sia interni che esterni; conoscendo l’ambiente, in quanto anch’io ne ho usufruito, la tratterrò in modo distinto.
La fisioterapia, non perché la reputi più importante tra le attività di recupero, ma essendo una disabile fisica come ho poc’anzi detto ne ho una conoscenza più diretta. Iniziai a praticarla subito dopo entrata in questa struttura, ma ormai mi capita di praticarla solo con una certa saltuarietà. Considerando che ho fatto il mio ingresso in questo Istituto all’inizio del 1998, lascio al lettore le considerazioni relative.
Della logopedia non ne so un gran che: è esercitata sia sull’età evolutiva che su pazienti adulti interni ed esterni. Penso che nel complesso il lavoro sia svolto da una équipe di varie logopediste, con almeno uno psicologo e un neuropsichiatra infantile, Neurologo, Fisiatra.
Non riesco ad immaginare come si possa svolgere una di queste sedute e vorrei molto assistervi: sarebbe interessante per un mio arricchimento culturale e curiosità personale. Così, inoltre, verrebbe a realizzarsi una più pertinente conoscenza del luogo in cui vivo.
Quello che ho poc’anzi enunciato, ossia la riabilitazione fisica e del linguaggio, è orchestrata in differenti spazi. Ci sono anche vari ambulatori all’uopo allestiti. 


FISIOTERAPIA

Erano ormai circa dieci anni che non avevo avuto più la possibilità di avere sedute di mobilizzazione del mio corpo. Oltre a fare bene al fisico, sono anche un diletto per lo spirito. è appunto venendo in questo Centro che ho potuto conoscere il fisioterapista Egidio; lui è stato il primo tecnico a non farmi sentire la mancanza del mio iniziatore francese.
Di lui non ricordo il nome, ma il suo operato è rimasto indelebile nel ricordo e nel mio cuore. Come dimenticare la sensazione che ho provato quando ho potuto rivedere la realtà da una posizione più comune a quella degli altri esseri viventi: quella eretta.
Egidio è stato il tecnico specifico del movimento che mi ha fatto scoprire anche una versione ludica di questo trattamento. è vero, è faticoso e impegnativo riattivare in modo sistematico gli arti che si sono come atrofizzati. Le sedute con lui erano una vera delizia per il mio corpo di disabile. Di fatto sono stati Egidio e Loretta, la mia prima educatrice, ad insegnarmi che si può essere abili in un altro modo. Lui oltre ad essere una persona adeguatamente preparata professionalmente è anche molto sensibile, dote questa che in un essere umano apprezzo enormemente. La sensibilità trovo che sia una qualità inscindibile per questa specifica professione.
Col mutare di alcune abitudini, comportamenti e usi anche l’istituzione famigliare ne è stata toccata; con questo non voglio esprimere un giudizio di merito, solo dire che si è sentita la necessità di affiancarle un aiuto esterno nei casi di bisogno.
Spesso i figli, o per lo meno i più giovani, non riescono bene ad adeguarsi ai mutamenti avvenuti all’interno della famiglia tradizionale. Può accadere che possono avvisarsi anomalie comportamentali e potrebbe essere di ausilio per aiutare a risolvere taluni problemi che potrebbero emergere nelle diverse circostanze.
La figura del logopedista e dell’équipe medica che spesso lo affianca sono stati in alcuni casi provvidenziali; credo che di quello staff dovrebbe far parte anche il fisioterapista Egidio.
Infatti vedevo, anche quando aveva me come paziente, dei bambini che lo aspettavano per il trattamento; oltre la sua preparazione professionale, ai dirigenti deve essere nota la caratteristica di cui prima parlavo: la sensibilità. Se hanno messo lui a svolgere un lavoro così delicato ci sarà pure un valido motivo.
Dopo varie sostituzioni, ora lui non mi tratta più, al suo posto c’è Emiliano. Nel momento che sto scrivendo questa trattazione è il mio attuale, nuovo fisioterapista; di lui sono abbastanza soddisfatta, ma non so quanto tempo lavoreremo ancora insieme. Non capisco bene il motivo, il perché devo, come mi è già capitato, interrompere questo trattamento che invece trovo molto salutare ed efficace.
Raggiunta una situazione di lavoro proficua e realizzato un feeling positivo, mi dispiacerebbe parecchio interrompere quello che è stato con reciproco impegno acquisito.
Qualche volta in istituto mi capita di rivedere Egidio ed è una gioia per me incontrarlo; non dimentico, è stato proprio nelle sale antistanti adibite alla palestra, che ho fatto le mie prime conoscenze con gli altri degenti di questo istituto. è il caso di un uomo non più giovanissimo. è divertente sentirlo raccontare, con la dovuta discrezione, delle sue visite presso le meretrici del sesso. Molto spesso viene suo padre a prenderlo per restare uno o più giorni a casa propria; suppongo che sia in quelle occasioni che egli si premunisca per soddisfare quelle “particolari” necessità.
In attesa del mio turno di fisioterapia, lo sentivo discutere ed affermare con molta convinzione che sarebbe campato a lungo, fino a cento cinquant’anni almeno. Alla conseguente, facile battuta, che per raggiungere tale traguardo doveva fare attenzione a non fare troppi stravizi, egli sembrava non preoccuparsi troppo per quello gli veniva detto. Il nostro simpatico uomo infatti non sembrava turbarsi più di tanto.
Osservandolo bene attentamente, mentre rievocava quegli incontri, si aveva l’impressione che solo il ricordo di quelle molto particolari visite sembrava rinnovargli il piacere. Quelle, almeno per lui, erano proprio delle salutari sedute.
Inoltre c’è anche una piscina per coloro a cui i medici hanno prescritto esercizi in acqua. Qui non l’ho mai usata, ma in altri istituti ho conosciuto anche questa esperienza. Devo riconoscere che la sensazione che questa pratica mi procurava era gradevole.
Il ricordo inevitabilmente andava a ben altre falcate, non sono mai stata una provetta nuotatrice, ma me la cavavo. Anche ora scrivendo mi vengono in mente le stupende nuotate, gli affascinanti fondali che sono un lieto ricordo della mia lontana vacanza in Corsica.

TERZO PIANO
Inizierò a parlarvi ora del reparto in cui al momento, alle soglie del nuovo secolo, sono ricoverata: è quello del 3° piano. Di conseguenza è quello che oggi conosco meglio. Nel Centro, oggetto del mio lavoro, c’è un immobile principale di vari piani che ospita disabili con differenti patologie. Credo che abbiano cercato di suddividerli principalmente in base al tipo di malattia o particolarità comportamentale che li caratterizza. Penso che nella suddivisione dei degenti nei vari reparti i dottori, cioè dirigenti-responsabili, abbiano considerato vari fattori. Avranno preso in considerazione le loro reciproche terapie, come pure mezzi o strumenti che possano essere d’ausilio per il loro auspicabile, possibile recupero.
Per quanto attiene a quest’ultima possibilità voglio dire del caso che mi concerne: mi hanno permesso l’acquisto del computer. Anzi c’è nell’azienda un addetto che si occupa anche di questo settore. Sono certa che non devono essere stati pochi i problemi, forse non gravi, che ha rappresentato permettermi di avere un mio computer funzionante. L’utilizzo che ne faccio è soprattutto per lo scrivere come nel presente frangente, ma ancora mi occorre l’aiuto di una persona quando mi capita di creare dei così detti “casini” col mio apparecchio.
Mi piacerebbe avere la possibilità di poter usare Internet e così mandare posta elettronica. Questi, ormai considerati attuali mezzi di comunicazione, per me rappresenterebbero anche una conquista. Un ostacolo non indifferente può concernere avere a disposizione una presa autonoma telefonica. L’eventuale allacciamento individuale del telefono servirebbe per poter individuare con precisione il costo delle operazioni che scegliessi di fare.
Mi auguro di poter trovare in commercio un cellulare e che sia in grado di poterlo usare. In modo tale che io possa dare svolgimento a quelle funzioni specifiche concernenti il servizio desiderato.
Credo che, fin quando non avrò a disposizione un portatile che mi permetta un fattibile, facile e pratico collegamento con una rete in grado di soddisfarmi, ciò resterà un sogno.
Vorrà dire che sarà un progetto per un prossimo futuro, rimarrà una possibilità da realizzare. Non è per consolarmi che mi dico: “non è questo un bisogno primario”. Come ho avuto con rammarico l’opportunità di constatare, anche prima del mio incidente, a molte persone succede di non poter soddisfare diritti, necessità basilari. è questa invece una realtà di molti.
Questo piano ospita la R.S.A. (Residenza Sanitaria Assistita) che è formata da degenti che, causa svariate motivazioni, debbono restare ricoverati. Sono diverse le patologie che i dottori-responsabili si trovano lì a dover curare; anche se coadiuvati dai medici di base che ciascun ospite deve avere. è comunque un gran lavoro. Ancor più se si punta ad un auspicabile, possibile recupero dell’ospite-ammalato.
Anche qui c’è un numero rilevante di disabili mentali, ai quali si sono aggiunte alcune persone che erano ospiti dell’ex manicomio comunale di Arezzo. Quest’ultimo è stato ormai chiuso e oggi alcuni suoi ospiti soggiornano in questo Istituto. Può capitare che questi ultimi combinino qualche malefatta, può succedere che sfuggano allo sguardo, sia pur accurato, di chi è preposto a controllarli. Comunque ciò che è accaduto, fino ad oggi, non possono essere reputati fatti gravi. Come entrare impropriamente in una certa stanza e prendere possesso di altrui giornali. Il guaio nel mio caso sarebbe che, essendo io una disabile fisica, non sarei in grado e con auspicabile facilità di rimettere le cose in un ordine a me funzionale, o perlomeno in posti più sicuri per quello a cui tengo in modo particolare. A questo proposito ricordo che, quando fui vittima di un incidente di questo genere, non mi rincrebbe tanto per le riviste in sé, ma quanto per i possibili fogli o documenti che potevo avere messo all’interno; è da considerare che la maggior parte di questi degenti non sa leggere. Forse ad attirarli è la curiosità verso cose sconosciute, o che non utilizzano abitualmente.
Voglio dire, e quanto mi è parso di capire lo conferma, che è stato un gran bene quando alla chiusura di quel tipo di istituto alcuni suoi degenti potessero venire qui. Penso che per alcuni di loro sia stato quanto meno più salutare vivere fra gente così detta “normale”. Cioè fra persone che almeno non abbiano comportamenti cronici. o quanto meno nefasti. E' proprio vedendo il comportamento, i modi di vivere di costoro che ho tratto certe considerazioni. Infatti ho dedotto che la sopra già citata istituzione comunale, per un eventuale, possibile, loro recupero psicofisico, doveva lasciare molto a desiderare.
Necessitava disporre di un luogo più consono per poter alloggiare i degenti che questo ente civile ospitava. è stata una buona occasione per alcuni di loro trovare posto in questo Centro. Si può notare come talune di queste persone sembrano come rinate. Ciò dimostra che non sono necessarie grandi innovazioni, né sconvolgenti cambiamenti affinché le cose possano realmente progredire migliorando. Di fatto può essere sufficiente, bastare non molto, per rendere più gradevole una vita già provata.
Al Centro, quando abbiamo bisogno di dover espletare bisogni fisici, basta farlo capire all’educatore presente in quel turno. Questi ci mette in condizione di poter soddisfare le nostre abbisogna. Si è presto intuito che quelli che venivano dal R.A.M. non erano abituati a tale efficienza; ricordo l’espressione disorientata che avevano quando li portavano al wc.
I wc sembravano per loro posti per lo meno molto poco abituali; ne ho dedotto che con probabilità li facevano restare a lungo con il pannolone. Credo che rimanessero così fin quando chi preposto alla loro sorveglianza e cura avesse deciso che era giunto il tempo di cambiarli.
Per mia triste esperienza personale, ormai lontana per fortuna, posso affermare che è molto sgradevole restare con i propri bisogni fisici addosso. Una volta che si sono espletati è gradevole liberarsene quanto prima. Per l’appunto una gran, gradevole liberazione per me è stata quando, un volta giunta al centro “Agazzi”, mi hanno dispensata dall’utilizzo del pannolone,
L’utilizzo di tale mezzo è utile a superare situazioni di emergenza. Mi riferisco a quelle circostanze relative alla necessita di soddisfare quelle particolari esigenze primarie che non si è più in grado di controllare bene.
Le mie ore giornaliere e anche quelle notturne, una volta giunta in questo Istituto, non erano più contaminate dall’utilizzo di codesto, sia pur utile strumento di funzionalità. Essere stata messa in grado di farne a meno è stata come una liberazione. Non avevo mai provato una emancipazione così liberatoria, è il caso di dire proprio “sulla mia pelle”.
E' stata veramente una gradita novità, ormai non credevo più possibile fare a meno di un simile mezzo di liberalità. Da quando avevo avuto l’incidente, in tutti i posti dove ero stata a curarmi, non mi avevano risparmiata dal suo utilizzo. è proprio il caso di dire che per me liberarmi dall’uso del suddetto ha significato raggiungere una nuova, basilare “emancipazione”.
Come tutti i presenti degenti la notte sono dotata di un campanello, che mi permette di chiamare il nottante di turno all’occorrenza. Sembra facile a dire, ma perché tutto funzioni bene occorre una organizzazione che sia molto efficiente.
Al Centro “Agazzi” alloggiamo pagando una regolare retta mensile. A parte si può elargire una somma di denaro per alcuni servizi ausiliari, se ne è fatta richiesta. In quanto codesta gestione è in grado di soddisfare diciamo anche servizi suppletivi.
Per quanto mi concerne sono stata ben lieta di potere usufruire di questa opportunità che, a una più attenta analisi, si è rivelata una utile comodità.
La direzione-amministrazione è molto sensibile alla efficienza e buona funzionalità del Centro. Mi ricordo bene quando di notte qualcuno è venuto a controllare se tutto funzionasse come dovuto. Non so il risultato di questa indagine e che cosa abbiano realmente trovato. C’è da dire che in questo Centro non ci si sente abbandonati.
E' difficile accettare la ormai avvenuta “non abilità”. Quando si ha la fortuna di imbattersi in una struttura, che seguendo le normali leggi di mercato, ti dà una mano a superare le inevitabili difficoltà, è un grande ausilio. Quelli che a noi disabili appaiono come inesorabili impedimenti, ho potuto constatare che, con un aiuto mirato, è stato possibile affrontarli con maggiore ottimismo. Credo di poter affermare che quando questo accade la sensazione che proviamo è veramente molto piacevole.
Il mio attuale gruppo è formato da nove persone-degenti e da tre operatori che si alternano, in modo che due sono generalmente presenti la mattina e uno il pomeriggio.
Durante i pasti principali, in taluni casi si potrebbe aver bisogno di un ulteriore ausilio, qualche volta è presente anche un’infermiera. Nel pomeriggio e nei momenti più critici, è possibile che ci sia saltuariamente un operatore aggiunto che dovrebbe aiutare chi ne ha più bisogno. All’occorrenza anche l’infermiere di turno viene chiamato. In ultima analisi sono codesti gli addetti che dovrebbe assolvere le necessità avvertite dai vari gruppi del piano.
Come ho già scritto, anche a causa dell’entrata in maternità della mia prima educatrice ”Loretta”, è stato da poco riorganizzato. C’è stato qualche mutamento, sono entrati educatori che non conoscevo a svolgere un lavoro tanto delicato quanto indispensabile.
Essendo questo il mio habitat, mi auguro mi sia più facile venire a conoscenza di notizie riguardanti chi lo compone. Pur aderendo ad una corretta forma di privacy, vorrei però che si comprendessero le mie esigenze per una maggiore informazione.
Generalmente, allorquando nella stesura del presente documento darò l’indicazione del nominativo del personaggio che sto trattando, esso sarà un nome fittizio. Salvo qualche eccezione, avendo avuto l’autorizzazione verbale, sarà quello anagrafico. Le persone che organizzano e realizzano taluni servizi in questo Istituto, ormai di interesse nazionale, sarebbero non difficilmente individuabili.
Chi conosce l’ambiente non avrà molta difficoltà a riconoscere i personaggi; d’altro canto è un inconveniente che devo accettare se voglio scrivere del reale, di quello che odo, ascolto, percepisco.
Quando sono entrata avevano deciso di formare l’unità del R.S.A. (Resistenza Sanitaria Assistita) e la nostra provenienza era varia. Per quanto mi riguarda l’ultimo istituto, che più a lungo mi aveva ospitato, era a Roma. Non lontano dai parenti, amici, interessi. Devo dire che malgrado la mia lunga, ormai inevitabile, degenza non mi sentivo molto isolata.
Di fatto, risvegliatami dal lungo coma, a poco a poco mi ero ripresa, avevo cercato comunque di tenere sempre la mente occupata. Mi stato molto vicino, nei primi anni di questa non facile mia condizione, mio fratello gemello. Infatti, venendo ad Arezzo ho mio malgrado dovuto affrontare una nuova realtà: provare cosa vuol dire non poter beneficiare della sua costante non indispensabile presenza. Era giusto che avvenisse e riconosco che così è stato più facile per lui riprendere in mano la sua vita.
Prima del mio incidente vivevamo una vita molto indipendente, io a una certa età avevo preferito andare a vivere per conto mio. Cercandolo avevo trovato in affitto un appartamento nel quartiere dove insegnavo: Trastevere.
Ora, dopo questa lunga divagazione, ritorno a parlare del primo mio gruppo di appartenenza qui all’Istituto di ”Agazzi” e ci sono anche, come ho già detto, alcune ex degenti del R.A.M.
Quello che mi aveva fatto più impressione era, ricordo bene, il modo quasi selvaggio che questi ultimi avevano di gettarsi letteralmente sul vitto. Assistere a questo spettacolo non era molto consolante quando giungeva l’ora dei pasti.
Osservando il loro modo di fare era facile pensare che di varietà cibo non ne avessero vista molta. Per quanto concerne la qualità e quantità qui non ci si può lamentare; anzi io facendo poco movimento, essenzialmente soltanto quando capita di fare attività fisioterapica, sono in soprappeso e sono costretta a stare a dieta.
Loro, gli ex degenti del R.A.M., sì sono ripresi e decisamente ora si può affermare che sembrano apparire come persone diverse. Ad una non attenta loro visione si avrebbe una certa difficoltà a riconoscerli. Io sono nata dopo la guerra e non ho mai patito la fame; non so cosa vuol dire provare quella sensazione. Di certo non sarà paragonabile a stare un po’ attenti per non ingrassare troppo e così non arrecare ulteriore danno a un organismo già disagiato.
Per quel che concerne la mia dieta, debbo dire che il principio l’ho accettato. Mi farebbe piacere sentirmi più agile e la mia salute ne sarebbe beneficata. Non dico riacquistare l’aspetto che avevo prima dell’incidente, ma riacquisire almeno una maggiore grazia che credo di aver perso.
Bisogna considerare che ormai è passato diverso tempo dal giorno dell’incidente, avvenuto nel 1985. Per una maggiore esattezza c’è da dire che dalla gola mi faccio ricattare ignobilmente!
Ho sempre pensato di me di avere un carattere forte, ora dovrei riuscire a dimostrarlo; mi auguro di arrivare a dimagrire un po’ e prendere il fatto come incentivo a bene continuare. Verbalmente non mi è difficile riconoscerlo, tutto il mio organismo ne avrebbe notevoli vantaggi. Forse scriverlo è un aiuto ad auto convincermi; spero solo di riuscire a raggiungere questa ardua impresa. Non è che mangi molto, ma le energie che quotidianamente consumo sono minime.
Mi somministrano poche medicine come terapia medica: è tenuta sotto controllo la pressione minima e l’ulcera duodenale di cui sono soggetta. Sento però forte l’esigenza di fare un po’ più di moto; non solo per attivare in modo più incisivo le gambe, pressoché immobili, come pure le braccia-mani e per quello che è possibile pure il tronco.
Quando mi capita di fare della salutare attività fisioterapica capisco bene la differenza che fa la sua mancanza. Mediante tale disciplina mi sembrava di essere più agile, avere meno dolori quando mi capita di fare dei movimenti non usuali. Tenuto conto della mia precaria forma fisica, già questi non sono molti, e limitare un loro possibile, auspicabile aumento mi sembra un vero peccato.
C’è da dire che io sono tra le interne quella che ha usufruito da subito di questo servizio e per due volte la settimana, salvo inconvenienti. è d’uopo dover rimarcare che qui i fisioterapisti sanno il fatto loro, ovvero sono bravi nella loro professione. Mi è capitato di incontrare delle persone, che come me aspettavano i trattamenti specifici, che mi hanno detto esserci una lista di attesa per questo servizio. Essendo alquanto soddisfatte del suddetto, non gli pesa più di tanto questo inconveniente.
Mi ricordo di Teresa; avevamo lo stesso fisioterapista e quando l’ho rincontrata durante un pellegrinaggio a Lourdes mi sono sentita contenta. Non sapevo che avrei trovato anche lei in quel viaggio; io ero con dei miei amici di Firenze che si erano occupati della mia partecipazione e mi ha fatto molto piacere incontrarla. Lei le sale di fisioterapia dell’istituto le frequentava in quanto cliente esterna.
Ultimamente, proprio da un tecnico del movimento che entrambe conosciamo, mi ha cercata e mi ha mandato i saluti; devo riconoscere che per me è un vero piacere constatare che conservo ancora un minimo di rapporti sociali. Una volta erano importanti e molto presenti nella mia vita.
Conservo di quel viaggio su ricordato un ricordo veramente molto bello, delle persone incontrate, delle esperienze fatte. Credo che questo vissuto mi terrà felicemente compagnia in avvenire.
Constatare che qui, sia pur per circostanze fortuite, conservare per l’appunto un minimo di rapporti sociali è possibile, mi inorgoglisce. Spero di poterla rivedere e so, per quel concerne questo obiettivo, di poter contare sulla collaborazione degli operatori che qui lavorano.
Nel mio gruppo c’è una paziente che mi ha molto aiutata; lei è veramente molto gentile e dà soccorso in generale un po’ a tutti. E' affetta da una forma non grave di ritardo mentale. Forse soffre un tantino troppo di quella che comunemente viene chiamata gelosia. Di conseguenza, se secondo lei danno troppa importanza a un altro malato, diventa un tantino aggressiva. La differenza la si nota subito perché invece normalmente è molto amabile e ben disposta nei confronti degli altri. Io, quando lei manca, perché ritorna per pochissimi giorni a casa propria, avverto l’assenza della sua persona. Sono comunque contenta per lei che quando le sia possibile possa cambiare ambiente. Non le capita questo di frequente, credo che la situazione della sua famiglia sia un po’ complicata. Io so solo che è figlia di due persone che hanno divorziato.
Io non l’ho mai vista leggere una rivista o un libro, ma credo che non sia analfabeta, forse è solo un po’ pigra. Se è così vorrei molto che fosse possibile stimolarla; ciò farebbe bene alla sua un po’ debole psiche. Dico questo, ma sono ignorante in materia - mi rendo - conto e solo come osservatrice.
Molte delle rilevanze che farò potranno avere questa caratteristica e vanno prese come tali: posso solo assicurare il lettore circa la mia onestà a riportare la veridicità di vicende ed accadimenti accaduti.
Forse la rilevanza che ho fatto poc’anzi è molto pertinente al lavoro che facevo prima dell’incidente e cioè insegnante alle scuole superiori. Riconosco che questo modo di vedere le cose è proprio della professione del professore. Vero è che “il lupo perde il pelo, ma non perde il vizio”. Mi fa piacere affermarlo: quello dell’insegnante è un mestiere bellissimo e io adoravo farlo. Devo ammetterlo, mi manca molto la mia attività lavorativa, quasi quanto il camminare.
Il gruppetto al quale appartengo è comunemente ritenuto dagli addetti “stressante”. Sulle nove persone che lo compongono, ben cinque non possono camminare da sole. Procedono con l’ausilio di una carrozzina che non tutte sono in grado autonomamente di guidare.
Voglio ora parlare di una giovane che, pur deambulando bene, presenta altri problemi essendo una ritardata mentale. A peggiorare la situazione, mi è capito di appurare, è che la sua condizione sia stata male accettata dalla di lei madre. Per continuare la descrizione di chi compone questo gruppo si deve considerare una altra giovane donna, anche lei proveniente dall’ex R.A.M. Queste ultime due rappresentano nel gruppo, quanto a capacità di camminare, il massimo dell’autonomia.
Separatamente nel piano c’è anche il gruppo maschile. La divisione durante il giorno è però più che altro formale, in quanto i luoghi di accesso sono comuni.
Per l’intera giornata non deve essere facile, né poco faticoso lavorare cercando di aiutarci a portare avanti le necessità specifiche di ognuno di noi. Ciascuno, secondo quanto è in grado di comunicare, tenta di rivendicarle. C’è da considerare che il loro soddisfacimento dipende da molti fattori e non è sempre possibile intuire di cosa abbiano necessità i disabili.
Non è vissuto da me come un gruppo in cui io ci viva in modo ottimale, ma è pur vero che la maggior parte dei componenti sono individui amabili e non aggressivi. Inoltre c’è da dire, e lo hanno assicurato, che cercheranno di cambiarmi collocazione; non mi rimane che sperare in un eventuale cambiamento in positivo della mia ubicazione.
Sempre nella stessa sala da pranzo che funge anche da soggiorno è collocato un altro gruppo femminile. Esso è formato da undici elementi, ma non ci sono molte persone che devono procedere non autonomamente in carrozzina. Lo compongono anche due sorelle gemelle che richiedono una vigile attenzione. Di pratico, sotto certi aspetti di positivo, c’è da dire che in questa unità il sabato e la domenica alcuni pensionati ritornano a casa propria, vengono a prenderli i rispettivi genitori.
Un particolare da annotare è che in questo gruppo alloggia una donna insieme alle sue due figlie disabili, le quali necessitano di accurate cure. La sua vita non deve essere stata né semplice, né facile. Questa sua travagliata esistenza deve aver inciso inevitabilmente sul carattere: non molto socievole e un po’ troppo burbero.
Dall’altro lato del corridoio inizia la zona maschile. La stanza da letto, in questo periodo mi ospita insieme ad un’altra ragazza, è l’ultima e delimita la parte adibita alle donne. Della mia compagna di camera non so l’effettivo motivo per cui è al Centro; non ha visibili impedimenti fisici, vero è che parla proprio molto poco. Eccezionalmente una volta mi è capitato di averla ascoltata discutere con una sua cugina.
Credo che il rapporto che abbiamo instaurato non sia malaccio, anzi penso di andarle a genio. è proprio vero che il linguaggio non è fatto solo di parole. Il comunicare è fatto di sguardi, di intese sottili, di reciproci consensi e non; io credo che abbiamo un buon dialogo. Mi ha anche rivolto più di una volta la parola, ma io non cerco di forzarla più di tanto; quando ha avuto necessità di me si è fatta capire.
La mattina, quando cominciano ad alzare le persone, vicino alla mia camera c’è una piccola rientranza e proprio lì è collocato un giovane . Si possono udire alcune altre varianti sul medesimo, oscuro tema e ancora parole che sembrano non avere un senso preciso. Un nostro educatore, che era dipendente della medesima struttura da cui lui proviene, dice che quando parla così si riferisce nei confronti di una certa persona con la quale era continuamente in disaccordo. La sua un po’ fastidiosa, ma ingenua cantilena è certo una forma un po’ originale e inconsueta di renderci conto che sta iniziando un’altra giornata. Durante la giornata lo vedo pochissimo e non so esattamente se continua con la sua, spero per lui, confortante ossessione.
La mia giornata la trascorro molto davanti al computer, tramite il quale mi è diventato più pratico intrattenere i miei rapporti di amicizia. Dico questo considerando soprattutto lo speciale contatto che ho con la mia amica e collega Michi. Ci scriviamo regolarmente e mi telefona al mio cellulare quasi tutte le settimane, Tramite lei conservo i contatti con le mie amicizie romane ed è sempre lei che fa da trait d’union con il mio ultimo fidanzato.
Lui è un attore teatrale che va spessissimo in giro per lavoro e non. Michi ha conservato con lui un saldo rapporto di amicizia iniziato tramite me. Ora sempre lei ci aiuta a mantenere vivo l’interesse reciproco, in queste condizioni non è di semplice realizzazione, ma è per entrambi importante. Mi tiene aggiornata circa la sua carriera. A proposito mi è capitato ultimamente, per puro caso, di vederlo in televisione in un film e in una fiction. Questa non prevista occasione mi ha fatto veramente piacere.
La vita è una grande scuola e sono contenta di frequentarla ancora, anzi spero di essere una buona allieva. Mi è capitato di pensare a come avrei accettato i probabili, possibili avvenimenti che sarebbero potuti accadermi e come avrei potuto viverli. I fatti riguardanti la vita di una persona possono essere tanti e di vario genere. In ultima analisi porsi troppo “ se e ma ” non serva troppo a capire la propria vita. Oggi devo accettare la mia condizione di “diversamente abile” in modo da poter continuare a vivere il più serenamente possibile.
Il computer mi permette ciò che non mi sarebbe stato possibile altrimenti fare, mi consente di vivere in modo inusuale nuove realtà e rapporti. Come questo scritto, che in questo periodo da “disabile” ho avuto la briga d’iniziare e spero di potare avanti.
Durante la settimana un operatore mi porta ad Arezzo che non è affatto lontana. è questa una di quelle attività collaterali, di cui prima ho accennato, che posso fortunatamente permettermi.
Queste uscite sono veramente un toccasana, anche un fugace contatto con una realtà “diversa” da questa, che mi aiuta a avere rapporti più reali con ciò che mi circonda.
Vado a fare delle piccole spese personali, visito qualche mostra che in quel periodo viene allestita in zona e che mi viene indicata. A proposito ho così potuto ammirare di Leonardo da Vinci la “Madonna dei fusi”; insomma faccio un po’ di quelle cose che avrei amato fare se non mi fosse capitato quell’incidente.
Una delle persone che mi porta fuori è amica della “famosa” Loretta; qualche volta mi è capitato di aver potuto beneficiare di un incontro in città con lei. Questi saranno degli inconsueti appuntamenti, ma lei ha sempre mostrato felicità nel vedermi e a me danno proprio viva e grande gioia questi rendez-vous.
Sia i gruppi femminili che quelli maschili al terzo piano credo che siano alquanto pesanti; il fatto che qui ci siano anche persone più adulte non è detto che semplifichi l’andamento delle cose. Corrisponderà forse di più a quello che si vive all’esterno; dove si hanno rapporti con gente la più disparata e senza troppi filtri, che in istituto con molta cura e debito attenzione hanno messo in atto.
Beneficiare di maggior personale credo che sarebbe un vantaggio sia per noi degenti che per coloro che sono preposti a vigilare su di noi. Avere a che fare con un gruppo di disabili non è cosa semplice, né leggera. Lo si può leggere nel volto degli operatori del settore quando finiscono il proprio turno di lavoro. è necessaria molta competenza.
Come in tutti gli ambienti anche qui c’è chi cerca di fare solo lo stretto indispensabile, di impegnarsi il meno possibile. Molto dipende con quale equipe di lavoro hai la fortuna di capitare, comunque anche per questo motivo, ma non solo, avvengono spesso cambiamenti.
Mi è capitato di pensare a come avrei svolto io questo delicato lavoro trovandomi al loro posto, credo che avrei avuto non poche difficoltà. Per farlo bene ci vuole una dose non indifferente di altruismo, dote questa non molto facile da trovarsi. E' necessaria professionalità, cosa questa che non si acquisisce in pochi giorni e con superficialità. In questa specifica occupazione è quasi indispensabile raggiungere una adeguata formazione, anche se serve a volte l’improvvisazione. Purtroppo per sbloccare una determinata situazione si procede per tentativi, spesso si raggiunge una prova positiva. Lo scopo si è appagato quando si raggiunge una situazione positiva.

VISITA ALL'ISTITUTO MADRE DELLA DIVINA PROVVIDENZA

Il Centro ha fatto anche l’esperienza della Casa Famiglia. Quando nel 1994, causa taluni non gravi problemi burocratici, quella allora esistente fu chiusa, non si desisté da tale esperienza. Anzi in un prossimo futuro hanno pensato di ripetere l’operazione. Questa probabile possibilità sarebbe proprio nella località qui di Agazzi, utilizzando l’edificio che era la vecchia scuola comunale.
Quella prima casa alloggio era situata in via del Trionfo ad Arezzo e circa una decina di ragazzi del Centro erano della partita. La conduzione che si era effettuata al suo interno era quella di ”tipo familiare”. L’appartamento era composto da un atrio e le stanze adeguate a poter esercitare i diversi interessi e/o necessità di una persona adulta. Vi era un locale per vedere la TV, la cucina, le varie camere da letto con i relativi bagni e per finire una stanza per la lettura o più genericamente per attività varie.
Una parte dei ragazzi che la componevano svolgevano attività lavorativa presso aziende aretine (in ristoranti, in lavori di manovalanza o in altre attività di questo genere).
Quando la struttura dovette chiudere, i ragazzi presenti in quel momento al suo interno furono trasferiti presso l’edificio principale del Centro.
Alcuni formano l’odierno gruppo “la comunità”; altri ragazzi, componenti la prima Casa Famiglia, sono oggi inquilini in un appartamento presso la zona di Guido Monaco. Questo immobile è sito proprio nel centro commerciale della città capoluogo di provincia. L’attività lavorativa di questi ragazzi è prestata sia presso locali imprese di costruzioni, sia nella cucina che serve l’istituto e suoi relativi annessi.
Cercherò di descrivere il gruppo formante la “Comunità”. Quella odierna di questo inizio secolo è composta prevalentemente da persone che hanno più o meno trent’anni di età. Costoro alloggiano nell’istituto in genere al primo piano e sono a tutti gli effetti dei degenti. Si tratta di casi non più particolarmente preoccupanti. E' pur vero che chi soffre di disfunzioni pur meno gravi spera che il male la smetta di accanirsi contro di lui.
In questo gruppo non manca la possibilità di effettuare raffronti; di casi se ne trovano purtroppo parecchi, è sufficiente dare intorno uno sguardo anche fugace. Dal loro comportamento deduco che a questi ragazzi non interessi troppo capire le molteplici vicende della vita, ma l’aspetto più pratico, quello più immediato rapportandosi con gli altri.
Il loro modo di fare mi ha dato l’impressione che la maggior parte dimostra una buona dose di sensibilità e una certa maturità. Quindi mi sembra più giusto dire che solo in alcune funzioni sono diversamente abili.
Taluni componenti questo gruppo li avevo già conosciuti al bar che c’è al centro di riabilitazione. C’è da precisare che da sola non era mia pratica abituale raggiungere codesto luogo e non sempre agli addetti era possibile condurmici. Quindi fino a poco tempo fa la mia frequenza con quel piacevole luogo non era regolare.
La mia odierna educatrice me lo aveva detto: “in un prossimo futuro ti lascio andare in carrozzina da sola”. Voleva solo essere più certa che almeno con la carrozzina manuale, meccanica, non trovassi difficoltà a raggiungere quel luogo con tranquillità e sicurezza. Dopo di che mi avrebbe concesso di utilizzare quella elettrica e quando questo si è verificato ho provato anche grande soddisfazione.
Dal piano dove attualmente risiedo per poter raggiungere il bar devo prendere l’ascensore. Può sembrare una inutile ripetizione: ribadire lo stesso concetto, ma non è stato semplice raggiungere la nuova autonomia. Per l’appunto l’educatrice voleva avere maggiore sicurezza che, da sola e con quel mezzo elettrico, non avessi trovato eccessive difficoltà a raggiungere i miei obiettivi.
In proposito abbiamo anche fatto delle prove; infatti, approfittando della bella stagione, sono andata più volte e da sola nello spazio antistante l’edificio principale; è sito fuori, all’aperto e sono riuscita a ritornare senza particolari aiuti o problemi.
Vero è che per riuscire con tranquillità in questa impresa ho messo il massimo impegno ed attenzione. Il risultato mi ha pienamente appagata; anche Cristiana ne è rimasta soddisfatta e così lei mi ha dato l’autorizzazione di potermi muovere con più autonomia dentro l’istituto. Per me questa è stata una gran conquista.
Sarà sufficiente che avvisi chi in quel momento è proposto alla mia tutela e a quella delle mie compagne della mia intenzione di allontanarmi per un po’. Con la questa nuova, raggiunta possibilità di movimento vado sempre più attestandomi verso una migliore realtà di vita anche se da disabile.
Stavo scrivendo dei ragazzi del gruppo della Comunità e c’è da dire che essi sono lì per svariate motivazioni. I medici responsabili, oltre che curare la patologia specifica del singolo, cercano di iniziarli al mondo del lavoro, di educarli a tale impegno civico.
La direzione amministrativa nell’ambito della propria struttura cerca di impiegarli; per esempio li addestra nel riparo di alcuni pezzi delle carrozzine meccaniche adibite a noi disabili fisici. Insomma cerca di far acquisire a coloro che si occupano di questo settore una conoscenza meccanica adeguata, spero che gli sia utile. Essendo il loro lavoro immediatamente la riprova della loro efficienza e utilità del proprio operato. Questo è un elemento importante e serve per una più vera ed equa riabilitazione dei soggetti operanti.
è da riconoscere quanto i responsabili del Centro si prodigano per trovare un possibile lavoro, equamente retribuito, a chi sia in grado di assumersi tale impegno. In vista di tale obiettivo si sono anche rivolti al centro sociale del luogo dove ha sede l’Istituto e a talune fabbriche del vicino entroterra.
Una nuova pizzeria dovrebbe aprire nel circondario, andrebbe a sostituire quella che già c’era e dava lavoro ai ragazzi dell’Istituto. Peraltro questi erano sufficientemente soddisfatti di questo impegno lavorativo. Penso che una probabile, sua nuova, prossima apertura sarebbe vissuta con contentezza dalla gente del luogo. Non sarebbero più costretti a raggiungere le cittadine dei vicini paraggi quando vogliono poter assaggiare delle auspicabili prelibatezze. Come sono costretti a fare ora quando vogliono restare fuori casa a mangiare per diletto o passare una serata particolare.
Si sono trovati a dover rinunciare a tale piacevole passatempo da quando la precedente gestione ha chiuso i battenti. Non so bene i motivi che hanno portato alla sua spero momentanea soppressione.
Come ho già detto la direzione cerca, a chi è in grado fisicamente di poter sostenere un lavoro, di impegnarli nell’apprendimento di un mestiere. In pratica credo che abbiano la convinzione che un impegno lavorativo possa aiutarli per un recupero più veloce e significativo. Hanno potuto constatare quanto di fatto un tale impegno possa aiutarli a superare talune di quelle anomalie che li avevano portati a rivolgersi ad un centro di riabilitazione.
I responsabili di quella che in senso lato si chiama “riabilitazione” li preparano insomma per un reale, possibile impegno di persona pienamente responsabile e agente. Questo è il loro obiettivo finale e, a seconda dei soggetti che si trovano a trattare, si possono far raggiungere vari livelli di autonomia. In questo avvicendarsi hanno in me una fervida ammiratrice: ne sarei veramente felice. Forse non avvertirei così forte il cocente rimpianto di quello che facevo. Credevo nel mio lavoro e realizzare questa mia aspirazione sarebbe un modo per poter rivendicare la validità della mia vita passata.; proverei un responsabile orgoglio se potessi essere ancora utile.
La scuola dovrebbe, nei suoi vari livelli di insegnamento, permettere ai propri allievi di affrontare con adeguata serenità i molteplici, diversi impegni esistenziali. La vita spesso spinge a risolvere al meglio la propria esistenza. Riconosco che sarebbe come un grande sogno poter occuparmi nell’ambito prima descritto.
Parlo con qualche difficoltà, mi si capisce grazie alla amabile attenzione e pazienza di chi mi ascolta.
Non saprei io stessa indicare bene l’attività che potrei svolgere. Sono però molto motivata per la realizzazione di tale obiettivo.
Può darsi che mi stia volutamente preparando a future, possibili evoluzioni in positivo della mia condizione. A questo proposito non vorrei però farmi inutili illusioni. Una cosa è certa: non voglio perdermi di coraggio e oso con orgoglio dire: “Fin ché c’è vita, c’è speranza”, ”Volere è potere”.
La direzione penso sia a conoscenza della mia voglia di essere impegnata in qualcosa che possa servire non solo a me, ma anche ad altri. Questo non per generosità.
Mi auguro che trovino qualcosa su cui impegnarmi e che io sia in grado di svolgere. Non ho amato mai molto oziare e ora più che mai non desidererei essere dedita a questa attività. Se è vero che l’ozio è il padre dei vizi, io penso che ne ho già parecchi e non è proprio il caso che ne aumenti ancora.
Il sabato e/o la domenica dei degenti della Comunità lasciano l’Istituto e si ricongiungono alle rispettive famiglie. è come se ciascuno di loro facesse un tuffo nella vita comune a quella degli altri essere viventi, senza quelle protezioni che qui ci vengono assicurate e di cui noi possiamo usufruire.
In conseguenza non so dire gran che dei singoli tuffi e come sia andata la loro nuotata. Mi è capitato di vederli il lunedì successivo; osservandoli con attenzione ho letto nelle loro facce niente di preoccupante. La percezione che avevo era che non fossero troppo scontenti di essere per il momento rientrati in sede.
Vivendo siffatto ambiente molte sono le tacite domande che mi pongo e vorrei potessero avere una possibile risposta. Non per mera curiosità, ma per fattiva, reale conoscenza di ciò che mi circonda.
Tornare a provare certe sensazioni dopo molti anni di quasi vuoto è per me come rinascere una seconda volta. Non penso che sia assurdo dire quanto ho or ora affermato. è comunque una forte emozione riprendere a vivere più pienamente.
Percepire come nuovi i sentimenti che prima non mi accorgevo di provare. Riuscire a captare sensazioni che con probabilità a causa di una mia colpevole superficialità, mi erano rimaste oscure.
Essere consapevole che la propria vita può svolgersi in modo quasi meramente contemplativo è come rinascere. Ci si rende conto che è necessario imparare a conosce in modo diverso, non è che quello che si sapeva non conti più nulla. Spesso la conoscenza va, nel caso mio attuale, usata in modo diverso da come ero abituata a fare in precedenza.
Con i ragazzi della comunità spero di avere altre occasioni ludiche da vivere insieme; qualcuno che conosco un po’ meglio mi ha fatto capire che sono contenti che io partecipi insieme a loro a certi avvenimenti. Quanto mi è stato riferito mi ha fatto piacere in quanto ho sempre il timore di essere diventata di peso agli altri, d’impaccio insomma.
Capisco bene che è né facile, né semplice avere a che fare con un disabile fisico; per di più io ho conservato il lato del mio carattere indipendente e un po’ ribelle. Spero che tutto ciò non renda troppo complicato avere nuovi contatti, instaurare nuovi rapporti. Vorrei molto avere la possibilità di effettuare ancora nuove esperienze.
La percezione che ho circa il mio futuro non può essere molto rosea, però ho ricominciato ad assaporare la gioia di sentire la vita correre dentro di me.


ASPETTO AFFETTIVO E DINTORNI


Sempre nel 3° piano alloggia un giovane uomo, che non fa mistero di essersi innamorato di una bella ospite. Sarà il nome fittizio della ragazza a cui mi riferisco, ma non credo che lei ricambi questa sua attenzione. La vedo non molto di frequente in quanto non risiede al mio piano e solo qualche volta mi è capitato di in contrarla la domenica nel locale che è adibito a chiesa. Credo che sia affetta da una forma di sclerosi multipla e penso che il fine settimana ritorni spesso a casa propria. Non abbiamo mai troppo familiarizzato, nel senso che raramente mi è capitato di parlare con lei personalmente. Per quanto riguarda lui forse si può dire che si tratta principalmente di un problema ormonale. Tuttavia ho potuto più volte rimarcare che, da quel particolare punto di vista, è anche troppo vivace, nel senso che rivolge le sue attenzioni, voglio solo definirle con magnanimità “particolari”, spesso e troppo indiscriminatamente.
Quando c’era in servizio l’educatrice L., cioè non era ancora andata in maternità, il ragazzo a cui prima mi riferivo si sentiva come un po’ protetto.
Penso che, forse prima che formassero il mio gruppo “R.S.A”, la stessa educatrice deve averlo avuto già in affidamento. Probabilmente lei deve aver assistito al nascere e all’evolversi di tale specifico interesse particolare. Da parte del ragazzo con molta probabilità il proprio innamoramento lo viveva dando a lei l’involontario ruolo di “complice”. Sta di fatto che lui si sentiva come se fosse più protetto in nostra compagnia e quando riusciva a intrufolarsi nel mio gruppo, dove L. era educatrice in primis, era ben felice.
Questo avveniva più frequentemente nella bella stagione, quando scendevamo e si stava più o meno tutti nel cortile antistante l’edificio principale del centro “Agazzi”.
Forse si sentiva meno solo e involontariamente, anche se in forma diversa, il mio gruppo assumeva il ruolo di scudo per le sue varie vicende. Sta di fatto che non recava danno a nessuno, risultava solo un tantino troppo petulante. Forse lo stare insieme a noi gli serviva per non sentirsi isolato, più sicuro e anche più forte. Comunque era sempre lui che avrebbe dovuto affrontare le eventuali conseguenze delle situazioni che avrebbe creato.
Sempre in questo piano c’è un degente che da molti anni dice che sposerà una certa gentile infermiera. Quando aveva cominciato a dirlo aveva fissato come data il 2000, che gli pareva non prossima. Ma tale epoca è giunta e il fatto deve avergli creato qualche inevitabile problema. La molto ipotetica cerimonia matrimoniale sarebbe stata “troppo ingombrante”, in quanto aveva in teoria invitato tantissima gente per quel, almeno per lui, tanto desiderato evento. Non si capiva quale fosse stato il metodo di selezione degli inviti e se mai ci fosse stato. Per il momento ha detto che la cerimonia è stata spostata a luglio di un prossimo anno e non so bene che scusa abbia addotto per giustificare tale rinvio.
E' un giovane uomo che ha una formidabile memoria. Quando gli altri degenti ricevono visite lui seduta stante si aggrega e prende subito informazioni presso il suo collega. Chiede oltre al nome anche altre possibili informazioni su coloro che sono venuti a trovarlo. Anche con me.più di una volta si è verificata una analoga vicenda. Ho potuto così constatare, anzi devo riconoscere, che poi si ricorda con molta precisione di quelle persone. In considerazione che le ha viste spesso di sfuggita, fa molta attenzione e per lui deve essere importate avere risposte ai suoi interrogativi.
Prima dei pasti vengono a fargli una iniezione, credo per evitare che vada sotto glicemia; non so molto del suo stato di salute di cui, contrariamente alle sue vicende d’amore, lui non parla affatto. è comunque molto gentile, forse solo un po’ insistente e petulante. Qualche volta viene a trovarlo una sua cugina di Firenze e mi appare molto felice; non è mai inaspettata tale visita, io vengo ripetutamente informata di tale evento per molti giorni prima che si verifichi.
Una volta me l’ha anche presentata, non so che cosa lui sappia di me e cosa le abbia raccontato; fatto sta che durante una sua visita ha tenuto a conoscermi meglio e mi ha donato un regalo. Mi ha offerto una bella guida storica di Firenze. La cosa mi ha lasciata quasi sbalordita, a parte il merito del dono fattomi che ho apprezzato, ho trovato il pensiero delicato.
Per quanto attiene alle altre ospiti che alloggiano a questo piano posso dire solo che ho notato un certo interessamento per l’altro sesso. Mi è capitato di capire che non soltanto pensieri e desideri eterosessuali devono albeggiare nei loro animi. Ciò può accadere quando più persone, pur con storie personali diverse, vivono a stretto contatto. La loro ubicazione qualche volta può non risultare ottimale; non è sempre possibile vagliare le diverse possibilità che si possono vivere.
Qualcuno fra gli ospiti del Centro per il fine settimana ritorna a casa, ma non penso che questo da solo, isolato possa essere più di una fugace occasione di conoscenza. Penso che per riuscire a costruire un rapporto affettivo siano necessarie condizioni di vita non solo più ottimali, ma anche che abbiano una certa continuità.
So comunque di casi che hanno avuto uno sbocco per il momento positivo. Alcune storie affettive i cui soggetti hanno fatto parte di questo gruppo sono tutt’ora in via di evoluzione. Sento che questo è motivo di orgoglio non solo. Si tratta di elementi che si sono succeduti nel gruppo della comunità. La coscienza che ancora ho circa l’impostazione di quella ora presente è iniziata già da diversi anni. Infatti gli elementi che la compongono mi paiono ben amalgamati fra di loro. Mi è stato detto che hanno condiviso molteplici esperienze, quando parlano di loro mi pare di percepire un’area di importanti sfide. Ho sentito dire che molti dei singoli che la compongono hanno fatto passi in avanti notevoli. Il livello di partenza di molti di loro era alquanto modesto. Credo che essenzialmente vogliano riferirsi al cammino nella strada della riabilitazione fatto dai componenti questo gruppo. Il messaggio che io percepisco circa i risultati che si sono conseguiti è positivo. In un ambiente dove sono presenti disagi derivanti dall’essere “diversamente abili” fa molto piacere respirare dove aleggia un sano ottimismo.
Voglio parlare qui di una ragazza, perché mi dà l’impressione di risentire particolarmente una certa carenza d’affetto. Prima la compensava con quello che sua nonna le dava, non glielo faceva mancare, ma una volta morta anche lei è rimasta carente e credo sia rimasta senza altri parenti prossimi.
I genitori, entrambi tossicodipendenti, sono morti e penso che di lei si occupi anche un tutore che qualche volta la viene a trovare, ma non lo vedo troppo spesso. Qui per dire la verità cercano di sopperire a tale mancanza, ma è molto difficile far fronte a un suo naturale e quanto mai giustificato bisogno d’amore. particolarmente affetta, sin dalla nascita, da una forma di lesione celebrale congenita che le ha causato una noioso tipo di “scialorrea”: non parla, emette solo suoni gutturali ed emana un odore molto intenso e poco gradevole.
Non è ridotta bene, se poi si considera che si trova comunque a vivere una situazione di cui non ha alcuna responsabilità si può meglio valutare quanto sia stata poco fortunata.
C’è un ragazzo nel piano, credo affetto da “oligofrenia”, che come lei non alcun problema nel camminare e le sta costantemente dietro; avrà pure qualche problema a livello celebrale, ma credo che abbia conservato intatto il suo “istinto” di maschio in cerca di femmina.
Voglio ora parlarvi di una graziosa ragazza che credo dedichi non tutti i giorni, ma alcune ore di lavoro al bar dell’istituto; ci porta le ordinazioni che facciamo ed è veramente molto cortese. Penso che normalmente lavori in una struttura economica esterna al centro e penso che alloggi qui a causa dei problemi familiari che devono averle complicato la vita.
Mi hanno detto che sia fidanzata con un ragazzo della Comunità, a me però non sembra di averla vista con qualcuno in particolare. Vero è che è molto discreta, niente affatto invadente ed è un piacere incontrarla.
Fa parte della comunità un giovane uomo che credo dovrebbe avere sui trent’anni di età, in questo scritto gli darò il soprannome di “il Magnifico”, ciò mi sembra possa essere giustificato più che altro dalla sua avvenenza che da rimembranze storico-culturali. Al bar dell’istituto, dove solitamente lo incontro, ci capita di scambiare volentieri qualche parola, devo dire che abbiamo familiarizzato subito.
Nel suo passato ci deve essere qualche problema di droga, ma a me non sembra che ciò gli abbia lasciato delle rimarchevoli, irreparabili conseguenze, come nel caso della ragazza di prima che si trova a vivere quella non proprio rosea condizione a causa di due genitori drogati. Il Magnifico dovrà fare comunque molta attenzione e immagino sarà dura, ma non impossibile, io glielo auguro di tutto cuore. Credo che come professione facesse il calciatore e avesse una vita varia e alquanto completa. Chissà cosa aveva bisogno di cercare! Chissà cosa gli mancava!
Scherzando io dico che siamo vegetariani e che ci piace l’erba, è chiaro che io mi voglio riferire alla marijuana, che in altri, remoti tempi mi è capitato di fumare, non ho preso il vizio di quel fumo, né di altro tipo di eccitante o altre sostanze; non considero nocivo prendere, con grande soddisfazione anche ora, il caffè dopo i pasti.
Giocare mi sembra un buon deterrente utile per sdrammatizzare una certa situazione che alle volte si può venire a creare; credo che uno status fatto di probabile tensione non aiuti molto gli interessati.
All’inizio degli anni settanta anche in qualche ambiente universitario capitava che si usassero droghe leggere; è allora che ho fatto conoscenza con questa, che per alcuni è stata fatale, “iniziazione”. A me, come poc’anzi ho detto, è andata bene non ho preso quel vizio, né ho mai avuto voglia di andare oltre con esperienze in tal senso.
Da poco ci sono state le elezioni per la scelta diretta del primo ministro; c’è stata una riforma costituzionale ed è la prima volta che in Italia ciò avviene. Mentre parlavo d’attualità, cioè cercavo, mi sforzavo di avere una parvenza di conversazione, ho scoperto fra i ragazzi della comunità uno simpatizzante del mio medesimo gruppo politico. Non abbiamo avuto ancora occasione di parlare molto insieme, ma mi riprometto di poterlo fare presto. Prima del mio incidente questo genere di conversazione mi era molto familiare; sono sempre stata attratta dall’aspetto socio-politico dell’esistenza umana e mi capitava di prendere delle iniziative; insomma mi piaceva occuparmene in prima persona.
Uno dei due capo medici del Centro sa di questa mia passata, non troppo, passione e quando può, ha tempo a disposizione, viene a discutere con me. Credo di aver capito che la fede politica sia quasi opposta alla mia, ma ciò non è di ostacolo anzi c’intratteniamo piacevolmente insieme.
Solo con i miei amici o al massimo con i miei parenti più stretti avevo potuto affrontare nuovamente questo specifico argomento; sono molto diverse sia nello spirito che nel contenuto queste conversazioni rispetto a quelle che intrattenevo una volta. Nonostante ciò rimarco quanto per me esse siano importanti non tanto per argomento che trattiamo, ma perché facevano parte di una pratica di vita che mi era abituale, quasi familiare.
Sono veramente contenta che tutto questo sia ancora possibile!
Io credo che il detto popolare “non si vive di solo pane”, possa all’uopo trasformarsi in “non ci si guarisce di sole medicine”. Non credo, nel mio caso, che potrei risolvere facilmente il grave impedimento che mi impedisce di camminare da sola, ma parlare di quello che più mi interessa aiuta molto a sollevare il mio morale e alle volte ne ho bisogno.
Credo che uno dei nostri medici Psichiatri ciò lo capisca bene, sono contenta di aver incontrato una équipe di persone come quella che ho potuto conoscere qui e che oltre ad essere sufficientemente preparati non si mostrano insensibili.
A questo proposito è stata una felice scoperta conoscere un po’ meglio il medico in capo: il dottor L. La mia conoscenza con lui era stata puramente formale; ultimamente ha avuto un non grave incidente e, forse anche perché siamo stati insieme ad altri allo spettacolo di Proietti, sento la sua persona più familiare. Quando mi è capitato di parlarci, ho avvertito un buon feeling. Scherzando gli ho detto che forse ho sofferto un po’ di invidia, di gelosia nei nostri confronti: voleva anche lui provare personalmente alcune delle terapie che normalmente ci organizza, ci allestisce nel centro che lui dirige. Ora conosce per esperienza diretta la validità e l’efficacia di alcune cure, ma penso che non c’era bisogno, ne era perfettamente a conoscenza!
Non è che in questa organizzazione tutto funzioni a meraviglia e che tutte le persone che vi lavorano siano tutti eccezionali e alcune cose potrebbero anche migliorare. Come succede da altre parti, anche qui si fa notare per la sua “voglia di lavorare saltami addosso”, ma nonostante qualche spiacevole inconveniente non mi sembra il caso di lamentarmi di come qui proceda l’attività di recupero. Dai racconti che ho udito questo posto è quasi una oasi.
Io ho avuto qualche non grave attrito con quelli che lavorano di notte, le mie non troppo prevedibili chiamate forse creavano un’ulteriore fastidio disturbo al loro già molto particolare lavoro; ho comunque conosciuto anche persone professionalmente preparate e ben disposte. Con le mie necessità ho un po’ scombussolato la routine che si erano forse con fatica creata: cambiare i degenti a ore prestabilite facilita il loro impegno ed evita tensioni.
Mi è capitato in questi anni di forzata inattività di avere nella mia testa pensieri non troppo positivi, cioè vedermi come una sorta di larva umana. Ragionando mi sono però detta che pur potendo accadere questo non è andata così; infatti se così fosse stato non mi sarebbe potuto venire in mente di scrivere della mia esperienza di disabile. Può venir fuori una schifezza, ma lo scrivere è un lavoro complesso e non può essere ideato e realizzato da una mente per l’appunto demente.
A questo proposito per onestà debbo dire che anche prima, quando ero al pieno delle mie possibilità, mi era capitato di avvertire il disagio o il così detto male di vivere. Tramite questa non facile esperienza alcune cose mi sono ora più chiare, sono spariti alcuni grilli che imperterriti cinguettavano per il mio capo; è vero anche che erano innocui e il loro canto mi diversificava la vita, ma avrebbero potuto allontanarmi dagli obbiettivi che mi ero prefissata di raggiungere il prima possibile.
In questa odierna condizione ho potuto conoscere persone che difficilmente avrei potuto incontrare se non mi fossi trovata in questa situazione e sarebbe stato un vero peccato. In questi ultimi anni ho ancora potuto beneficiare di diversi contatti e anche di nuovi rapporti se a questo aggiungiamo idealmente quello che in precedenza avevo realizzato si tratta della mia “vita”. Mi appartiene, io con orgoglio la rivendico e se necessario la difenderò da tutto e da tutti.
Lentamente, un po’ per volta ho cominciato a meglio conoscere ed apprezzare quello che qui si può vivere; a stretto contatto con altre persone è come vivere in una minuscola città. La vita in comune spesso può risultare dura, ma di fatto ti può comunque dare molto; in precedenza non avevo fatto esperienze che possono rapportarsi a quella che ora io chiamo “la mia comunità!. Di fatto ti aiuta e ti stimola a partecipare più attivamente alle emozioni che non riguardano solo te.
La nostra assistente sociale non mi ha esclusa dalla gioia intima che ha provato nella ricorrenza delle sue nozze d’argento. Io la ringrazio anche perché non è sempre facile aprirsi agli altri e farli così partecipi di ciò che in quel momento ci fa felici. Lei che al Centro svolge questo ruolo, mi ha fatto conoscere l’emozione che procura il “viaggio di nozze” ripetuto dopo venticinque anni di convivenza; non mi ha fatto sentire esclusa da questa sua fausta ricorrenza. Come ho detto in questo periodo che sto vivendo del tutto particolare “gestazione”, la futura nascita della figlia della L., la mia educatrice; è qualcosa che vivo molto da vicino e questo è soprattutto merito dell’autentico rapporto che lei, non solo con me, ha saputo instaurare. Non sono preoccupata, ma la futura nascita di questa bambina mi riguarda più da vicino di quanto in situazioni più usuali sarebbe accaduto.


2° PIANO VARIE REALTA'
Oltre ospitare dei degenti, in questo luogo, operano dei tecnici specifici nei laboratori e/o ambulatori che si occupano di fornire vari servizi. Tutto ciò è adibito sia per le necessità interne, sia per le innumerevoli richieste che provengono dall’esterno e che riguardano i vari aspetti della riabilitazione. Sono allestiti qui gli ambulatori delle varie logopediste e degli psicomotricisti, che operano in questo istituto; già in un’altra parte del presente scritto ho accennato al loro complesso e diversificato lavoro. Essi si occupano principalmente di utenti esterni sia in età evolutiva che adulti, con svariate patologie che interessano più che altro il linguaggio e la sfera cognitiva (per esempio ritardo del linguaggio, disturbi dell’apprendimento, afasie ecc…).
A questo piano operano con un certo successo vari tecnici, che trattano delle diverse attività occupazionali per i molti ospiti da riabilitare che risiedono in questo istituto. C’è una operatrice che con molta sua personale partecipazione porta avanti questo impegno ed ha allestito dei veri laboratori di découpage, patchwork, telaio. Coloro che non hanno impedimenti fisici, né gravi carenze mentali, e che sono impegnati in queste svariate occupazioni, lo fanno con vivo interesse.
I lavori che vengono realizzati partecipano alla mostra e vendita nelle diverse fiere provinciali che vengono allestite nelle zone limitrofe; questo fa sì che chi è impegnato in questo settore possa mantenere vivo il contatto con gli altri artigiani.
Una parte del ricavato lo si destina a comprare altro materiale e si cerca quello adatto a fare nuove esperienze di lavoro. In occasione delle festività di Natale e della Pasqua vengono fatti e preparati per la vendita,con i metodi di lavoro che ho poco fa elencato, innumerevoli oggettini: pezze di stoffa, sciarpe, decorative e belle scatolette e tant’altro.
La gente così con una fava prende almeno due piccioni: trova realizzati dei prodotti sicuramente artigianali, pensati e realizzati con cura e in tal modo risolve in parte il pensiero di che fare in regalo nelle imminenti festività. Poi non trascurerà che così facendo incentiva all’applicazione e al lavoro ragazzi portatori di handicap, intervenendo così fattivamente nell’opera di recupero, di riabilitazione.
I lavori che vengono ideati nel laboratorio di ceramica vengono messi in mostra in apposite vetrine-esposizione che sono poste all’entrata dell’edificio principale del Centro. L’operatrice-artista, che porta avanti con sagacia questo posto operativo di riabilitazione, si chiama Giovanna. Lei tenta di educare all’arte non solo decorativa una serie di ragazzi che alloggiano nei diversi piani dell’istituto; essi partecipano attivamente in modi diversi alla realizzazione delle opere, nella maggior parte ideate dall’artista sopra menzionata. I prodotti che escono da questo specifico centro di lavoro-riabilitazione sono generalmente molto belli e il loro prezzo è veramente competitivo.
Può succedere che, con il ricavo ottenuto dalla vendita degli oggetti di cui ho parlato, coloro che hanno partecipato tale realizzazione possono offrirsi una serata un po’ diversa. Può capitare che la trascorrano in pizzeria o in un altro posto similare e chi è meglio in grado di capirlo è ben felice di essere riuscito a realizzare questa uscita sui generis.
Il Centro è interessato a promuovere queste iniziative che oltre ad essere validamente formative, sono gradite dai soggetti partecipanti, i quali intervengono con vivo entusiasmo; anche se non è così per tutti; infatti taluni sembra non si rendono molto ben conto che cosa stiano elaborando. Credo però che sia molto importante per il loro possibile recupero vedere ultimato un oggetto che sia un prodotto finito e per il quale hanno impiegato le loro energie per realizzarlo.
La mente è molto complessa e credo che la parte operativa di noi possa essere di grande aiuto per un suo migliore recupero; dico questo da grande ignorante in materia, ma penso che le strade che sta percorrendo il Centro non siano del tutto sbagliate, né tanto meno inutili.
Vorrei essere più esauriente circa le attività varie, ma non so molto altro oltre al fatto che all’Istituto c’è chi si preoccupa di far raggiungere il posto di lavoro a chi ha un’occupazione all’esterno. Non si può dire che qui sia carente la partecipazione della conduzione di un certo tipo di vita più attiva.
Secondo me la struttura necessiterebbe di più personale per riuscire a dare un più sereno compimento a tutti questi progetti; è importante che non rimangono solo delle belle intenzioni e dato che quello che è stato messo su è valido perché non pensare a un suo miglioramento!?

4° PIANO: EPILETTICI, RITARDATI MENTALI, AUTISTICI E ALTRI
Quando sono giunta in questo istituto, ancora credo non ci fosse un gruppo distinto d’individui con le caratteristiche proprie delle persone soggette ai vari disturbi che l’autismo comporta. Anche se la patologia trova delle notevoli difficoltà a essere correttamente diagnosticata, cercherò di scrivere quello che sono riuscita a capire, forte e beneficiando soprattutto del fatto che viviamo tutti insieme ospiti di questo istituto.
Il soggetto che soffre di autismo tende all’isolamento e ad avere come degli impedimenti che gli rendono più difficile dimostrare di provare emozioni; anche se non accade in tutti i casi cerca di rifiutare il contatto con gli altri. Il linguaggio è spesso assente, se presente è “ecolalico”, quando cioè il soggetto ripete semplicemente quello che sente e il rischio che possa isolarsi è notevole.
Principalmente la difficoltà che avvertono nel sapersi rapportare con sé stessi e con gli altri è notevole ed è molto maggiore di quello che normalmente accade. Mi rendo conto che detta così non specifica molto bene circa la loro malattia e quindi aiuta poco a comprendere la loro difficoltà a condurre una vita più conforme a quella degli altri: sapersi rapportare come ho già detto.
Questo vario manifestarsi è studiato con cura principalmente negli Stati Uniti d’America; sistematicamente lì sono stati rilevati dei dati che hanno permesso di arrivare a definire una metodologia mirata per il recupero di questo molto particolare tipo di pazienti. Il gruppo formatosi in questo istituto dovrebbe seguire il metodo “Teach” messo a punto proprio nella Carolina del Nord.
In Italia siamo ancora indietro per quanto riguarda lo studio di questo specifico problema. Per caso vedendo: “Mi manda Rai 3”, una trasmissione televisiva, ho saputo che, pur esistendo libertà di cura, per problemi burocratici una famiglia con un figlio autistico aveva difficoltà a farsi riconoscere il legittimo diritto economico al rimborso delle spese di accompagnamento.
Il padre medico e la madre infermiera di questo bambino autistico sono abbastanza aggiornati in materia e poiché in Italia esiste libertà di cura se ne sono avvalsi. A questa famiglia, dovendo affrontare la spesa per il trattamento medico che hanno scelto di quattro milioni mensili, le avrebbe fatto proprio comodo il riconoscimento del diritto di cui sopra ho parlato. Non starò a dilungarmi sui problemi burocratici di cui ho accennato, ma mi domando come vengono affrontate le varie situazioni di coloro che sono soggetti a questa malattia. Qui all’istituto durante la giornata mi capita di incontrarli in chiesa, al bar, nel piazzale antistante l’edificio principale; ora per me è tutto più facilitato da quando ho l’autorizzazione a potermi muovere da sola con la mia carrozzina elettrica, infatti così mi è più agevole avere contatti con gli altri. La mia attuale educatrice “Cristiana” me lo aveva promesso e sono lieta che si sia potuto verificare questo avvenimento che per me è importantissimo. Ho potuto riassaporare e percepire cosa si prova avendo un sensibile aumento nella possibilità di movimento e non mi resta che riconoscere che è una sensazione veramente fantastica.

ALTRI

Oltre agli autistici qui sono alloggiati altri tre gruppi che raccolgono un ampio spettro di disabilità, che può andare dal ritardo mentale più o meno marcato a varie forme di handicap fisico.
Ci sono dei degenti-ospiti che sotto l’aspetto formale si possono considerarsi quasi autosufficienti, altri hanno bisogno di essere aiutati e assistiti nell’assunzione del cibo, guidati nella cura personale.
In questo caso compito dell’operatore è quello di fare in modo che il soggetto in questione riacquisti le capacità perse, nel contempo mantenga quelle esistenti e far sì che possa migliorare sempre di più per quanto concerne le autonomie personali (mangiare, vestirsi, pettinarsi, farsi la barba, lavarsi i denti, ecc).
Oltre a questo tipo di normale riabilitazione che viene portato avanti tutti i giorni, vi sono anche tre laboratori nei quali lavorano i ragazzi che hanno maggiori capacità manuali.
I laboratori in questione sono:
1) carta riciclata, dove viene recuperata carta di giornali e riviste che vengono fornite anche dai degenti del Centro che abitualmente leggono. Con questo metodo vengono realizzate diverse cose come biglietti di augurio, partecipazioni per comunioni. Si realizzano qui anche lavori con fiori secchi che si concretizzano poi in quadri, composizioni e altro.
2) laboratorio di pasta di sale, dove vengono fatti oggetti da regalo per le varie occasioni. Ci sono dei lavori che, assemblati con altri elementi in legno o in ceramica, sono una divertente variante del tema di base.
Come gli altri ragazzi dell’istituto, anche quelli che alloggiano a questo piano seguono i diversi cicli riabilitativi specifici: tutto ciò che avviene presso gli ambulatori fisioterapici che l’istituto ha messo su e che sono a disposizione sia degli utenti interni che esterni.


COSTA ADRIATICA, ROMA E ARGENTARIO

Tutti gli anni, anche prima che io venissi al Centro, nella bella stagione durante l’estate, la direzione organizza delle trasferte al mare e pagando una piccola cifra in più della retta usuale si può aderire; poi si traduce in una vera e propria breve vacanza, ma molto gradita. Credo che sia un gran lavoro preparare dei soggiorni adatti ai diversi tipi di degenti che si trovano in questo istituto. Per due estati siamo andati nella riviera romagnola, vicino Rimini, in alberghi che avrebbero dovuto abolire se le avevano le barriere architettoniche. Di quelle esperienze ho un ricordo molto positivo e, approfittando che eravamo in zona, gli educatori che erano venuti ad assisterci ci hanno portato a visitare “L’Italia in miniatura”.
Così ho rifatto con un giro “in gondola” in una Venezia ricostruita. Nella vera città lagunare mi è capitato di soggiornare varie volte e anche a lungo. In diverse occasioni ho portato a visitarla anche i miei studenti, che sono rimasti sempre molto meravigliati davanti a quel quasi miracolo; è così che percepivo, avevo l’impressione che vivessero quella città del tutto particolare.
Devo ammettere che tutta quella gita e in più quell’Italia tutta condensata furono per me una molto gradita sorpresa; la ricostruzione di alcune parti di città, come quelle che avevano realizzato di Firenze e di Roma, mi avevano letteralmente affascinata.
Come l’anno successivo è stata unica e irripetibile la visita di “Mirabilandia”, che i nostri coraggiosi educatori, nonché intrepidi accompagnatori, in quella avventura ci avevano proposto. Il ricordo del panorama che avevo potuto godere, dalla giostra; “La ruota,” veramente altissima, non mi ha più abbandonata, ma tutta la giornata fu fantastica.
Ora che ci penso, credo che in quella occasione avevo dimenticato di essere una disabile, mi sentivo a mio agio e non mi meraviglio che, benché fatta per i giovani, sia normalmente e con soddisfazione frequentata da gente di tutte le età.
Riandrei volentieri da quelle parti, oltre che per la cortese accoglienza degli emiliani, anche per ritornare in quel parco giochi e assistere ad un eventuale nuovo spettacolo che danno per finire la visita in bellezza.
Ho così assistito a quello che avevano chiamato “Hollywood”, dove c’era un gioco sapiente di moto che si rincorrevano e poi si fermavano improvvisamente. Non lo ho trovato troppo diseducativo perchè era palesemente chiaro di essere uno spettacolo, da non farsi nella realtà.
Ho inoltre un felice ricordo della gita che abbiamo fatto a Roma, in occasione dell’incontro che nei suoi “Mercoledì” il Papa ci ha concesso; io sono romana e abito a Trastevere, proprio vicino a San Pietro. è stato con vivo piacere che ho ripercorso quelle strade che erano abituali; dal pullman che ci trasportava ho anche rivisto dove insegnavo, come pure Castel Sant’Angelo, ponte Sisto che, abitandogli molto vicino, lo attraversavo più volte al giorno.
Questo vissuto che mi tornava alla memoria, insieme alla stretta di mano elargitami dal Pontefice, sono stati dei fatti veramente molto emozionanti. Il Papa Giovanni Paolo II, da come lo ricordavo, l’avevo trovato molto invecchiato e stanco; tutte le alterne vicissitudini della sua vita l’hanno inevitabilmente segnato, ma si percepiva che era sempre estremamente generoso. Nel pomeriggio siamo andati alla basilica di San Giovanni; è nel quartiere che l’ospita che ho trascorso tutta la mia infanzia e giovinezza essendo nata a piazza “Re di Roma”. Il tutto è stata una vera e propria rimpatriata che non mi aspettavo di poter vivere, ha aumentato, per quanto era possibile, la gioia di quella uscita inconsueta. I frati passionisti, gli stessi che gestiscono il centro Agazzi, sono stati proprio loro i maggiori artefici di quella particolare giornata e proprio nel quartiere di San Giovanni siamo stati ospiti nella loro casa madre.
Quest’anno Cristiana e gli altri educatori, che sono venuti con noi all’Argentario, già da tempo stavano lavorando alacremente alla preparazione del viaggio; lo hanno fatto anche durante le normali ore di lavoro e così ho potuto seguire tutto lo svolgersi dell’operazione: dalla ideazione alla giusta programmazione in tute le sue fasi.
Questo ulteriore lavoro extra che hanno fatto ci ha permesso di partire più tranquilli. Da quanto mi ricordo, anche quando lavoravo io se qualcuno non si rimboccava le così dette maniche, le cose difficilmente prendevano il via e meno male che anche questa volta si è trovato chi ha svolto molto egregiamente questa incombenza.
E' stato un viaggio favoloso, anzi l’esperienza che ne ho potuto trarre è stata molto interessante e, come ho già detto in un’altra parte di questo scritto, è durante il suo svolgimento che ho potuto conoscere una persona molto cara: Padre Paolo, che mi ha raccontato un po’ la storia di questo centro e di alcune sue vicissitudini.


LOURDES

Di particolare questa estate, oltre che essere stata all’Argentario, sono andata tramite l’UNITALSI e i miei amici di Firenze, i Coda Nunziante, nuovamente a Lourdes. Devo riconoscere che, ormai meno attratta dalla novità del luogo-ambiente e dalle sue caratteristiche, ho vissuto in maniera diversa questa esperienza; sono entrata meglio in merito al pellegrinaggio vero e proprio.
Il mio gruppo era perfettamente organizzato ed eravamo anche numerosi, venivamo da tutta la Toscana. La partecipazione massiccia di pellegrini da tutta Europa mi ha nuovamente sorpreso. A noi non restava che godere delle particolari funzioni che la scrupolosa organizzazione si era preoccupata di allestirci; quei giorni trascorsi, non solo in preghiera, sono stati magici.
Prima di essere disabile non vi ero mai stata, ora potrà sembrare facile dire che avrei voluto fare questa esperienza non da ammalato, ma come anonimo pellegrino, è stata questa la sensazione che ho avvertito nel passato, recente viaggio.
Ci accompagnavano, provvedendo alle nostre necessità, molti volontari: crocerossine e barellieri. Sono rimasta negli anni passati in contatto con alcuni di loro e durante l’anno ci scriviamo. Ecco che in queste occasioni il mio computer mi è molto utile, direi indispensabile. Come mi sarà capitato già di affermare, amo molto conservare rapporti sociali. Nella vita che conducevo prima dell’incidente, essi erano una presenza importante nella mia quotidianità.
I miei amici di Firenze, i Coda Nunziante, sono sempre pieni di attenzioni; quest’anno con loro hanno portato a fare il pellegrinaggio, con funzioni di barelliere, un caro amico di famiglia “Teo”. è questo il suo nome ed è venuto insieme alla sorella, la quale non era una novità per me in quanto avevo avuto modo già di conoscerla. L’incontro con lui si è rivelato per me una quanto mai gradita improvvisata e abbiamo, forse complice il particolare ambiente, legato quasi subito.
Parlando abbiamo scoperto di aver fatto la stessa facoltà universitaria e di aver avuto diversi professori in comune. Soprattutto uno ci ha permesso di presto familiarizzare. Si tratta del professor “Federico Caffè”: insegnava Politica Economica e di lui purtroppo si sono perse le tracce. Da un certo giorno sulla sua persona è sceso il mistero. Non è stato possibile rintracciarlo e non se ne sa più niente; sono ormai passati alcuni anni, ma l’arcano persiste. Proprio Teo mi ha detto che c’è qualcuno che ha pensato di girare un film sulla sua persona, la qual cosa non mi meraviglia troppo.
Ricordo bene nel 1968 durante l’occupazione della facoltà di Economia e Commercio, che ancora era sita a piazza Fontanella Borghese, era costantemente presente. Non credo che fosse d’accordo nelle modalità con noi che occupavamo, ma non se la sentiva di abbandonare il suo posto di lavoro. Voleva essere comunque presente e impegnarsi a capire quello che stava succedendo. è stato un maestro anche di vita e spero di aver imparato un po’ del “suo grande mestiere”, di essere stata come insegnante almeno degna di essere stata una sua discepola. Quando io ho fatto l’università si faceva il piano di studi, che poi doveva essere approvato e così ho potuto dare vari esami della sua interessante materia. Era presidente nella commissione di laurea quando è toccato il mio turno e ho ricevuto da lui il bacio accademico. Penso di aver concluso in bellezza il mio corso di laurea, reputo che meglio di così non avrei potuto terminare questa fase della mia vita.
Aver avuto il professor Caffè in comune ci ha aiutato molto a avere un rapporto egalitario, anche se le circostanze erano molto particolari, Credo di aver beneficiato al massimo dell’ambiente sano e costruttivo che i volontari riuscivano ad allestire. L’area di autentica fratellanza che si respirava difficilmente permetteva ai disabili o comunque a chi non stava bene di non sentire il peso della loro diversità.
Ho affermato e ribadisco che la sua conoscenza ha completato la mia “laica trinità”, in quanto percepita da me ha questa caratteristica, ma non volgare, anche nel senso lato del termine.
In primis c’è stato Cesare, poi il fratello e i genitori Coda Nunziante. Per finire la sua persona è stata come un regale incoronamento a questa fantastica esperienza..
A Lourdes credo di aver beneficiato al massimo dell’ambiente sano e costruttivo che i volontari riuscivano ad allestire. L’aria di autentica fratellanza che si respirava difficilmente permetteva ai disabili o comunque a chi non stava bene di sentire il peso della propria diversità.
Spero di riuscire a ricambiare la gioia che la famiglia Coda Nunziante, nobile di nome e di fatto, è riuscita a farmi vivere.

CONCLUSIONI

Quanto ho scritto si basa sulle idee che mi sono formata vivendo qui da più di tre anni e da quello che ho appreso stilando questo scritto. C’è da dire che, senza il sistematico ausilio che ho avuto nell’utilizzo del computer da parte dell’operatrice S., mi sarei trovata letteralmente in mare aperto. Oltre a liberarmi dai “casini” che mi capitava di imbastire, ha capito e condiviso con me l’enorme libertà che questo apparecchio è in grado di arrecarmi. Non mi ha fatto sentire sola e, avendomi consentito di realizzare quello che mi ero prefissa, cioè di scrivere anche queste memorie, si è creata una sorta di simbiosi con il mezzo, che mi ha permesso di raggiungere lo scopo.
Come mi è capitato di affermare, non credo ci siano diverse realtà con cui è possibile confrontare il lavoro svolto da questo Centro, le eventuali prospettive e i risultati conseguiti. Se così non fosse sarebbe una bella opportunità che credo andrebbe curata e seguita; penso che potrebbe portare dei considerevoli vantaggi per le diverse unità che si trovassero a operare nel settore della riabilitazione sia fisica che mentale.
Attualmente non sono in grado di procurarmi delle informazioni su questo specifico argomento e, prima di aver l’incidente che mi ha reso emiplegica, mi interessavo prevalentemente di altre cose; insomma la mia conoscenza circa questo argomento era alquanto limitata. Ora conosco questa realtà in quanto faccio parte di essa, essendo una disabile fisica e vivendo la mia quotidianità a contatto con altri disabili sia fisici che mentali.
Ho già detto come sono approdata in questo istituto e in precedenza, per poter avere il domicilio qui ad Arezzo, indispensabile per poter entrare in questo centro, sono stata ospite in un ricovero di anziani a San Giuliano. Quel posto mi è stato utile per poter accedere qui, tanto più che era in via di dissolvimento e appena è stato possibile ho abbandonato con molto rammarico quell’ospizio per anziani. Se si considera che non avevo ancora cinquanta anni quando sono entrata come residente in quel posto, lascio immaginare come mi sia potuta trovare a trascorrere le mie giornate chiusa fra quattro mura. L’unica variante possibile ai miei libri e riviste erano gli scarsi contatti con le persone che risiedevano lì.
Considerando che non aveva, né poteva avere, le strutture adatte per soddisfare anche in minima parte le attuali necessità e che, nonostante i limiti riscontrati, costava pure abbastanza, mi è parso di aver raggiunto in anticipo il paradiso quando finalmente sono giunta al “Centro di Agazzi”. Esso possiede una struttura fisioterapica ragguardevole, peccato che ogni tanto per un po’ mi sospendono le sedute di fisioterapia; i motivi che via, via vengono addotti non li ho ben capiti o meglio non sono riusciti a convincermi della eventuale validità di questa momentanea sospensione.
Almeno io non sono riuscita a capire il motivo per cui mi trovo a interrompere una terapia tramite la quale trovo un gran sollievo; soprattutto nei confronti di quei veramente fastidiosi dolori ai quali da dopo l’incidente sono soggetta. Sono disposta a pagare a parte sedute, se la retta che paghiamo non può considerarle incluse; mi piacerebbe capire il vero motivo di queste interruzioni, visto che ne riporto un giovamento che mi dà parecchio sollievo.
Sono di fatto pochi i motivi di non completo soddisfacimento relativo a questa mia odierna situazione; ho dovuto soprattutto lavorare molto psicologicamente per accettare quello che mi era successo. Non sempre tutto fila liscio: è normale e qualche volta cedo un po’, ma so bene che la depressione non deve albergare nel mio animo, per poter vivere quanto più serenamente mi è possibile la vita che mi resta da trascorrere.
Per quanto attiene alle mie compagne di piano alcune frequentano quotidianamente il laboratorio di ceramica, tenuto da quella che io definisco “l’artista”. Lei è veramente molto disponibile: oltre ad avere un impegno particolare, mi risulta che chi va nel suo laboratorio è ben felice di questa realtà che lo riguarda.
Per coloro che hanno particolare impedimenti negli arti, ma comunque camminano, c’è un terapista specifico che gli fa fare sistematicamente un po’ di ginnastica.
Il tipo mi appare cordiale e, anche se non posso essere una sua allieva, a volte si intrattiene velocemente anche con me; ciò mi fa molto piacere. La mia conoscenza nei suoi confronti è puramente superficiale, ma le altre mie compagne mi sembrano ben felici quando lui giunge per intrattenerle.
L’amministrazione tramite i nostri educatori durante l’anno ci organizza dei festini ed è in queste occasioni che vedo sistematicamente Paolo, colui che al centro si occupa di curare alcuni pazienti tramite la musica. Non so assolutamente in che cosa consista questa terapia, posso solo immaginare. Per quanto attiene al suo intervento nelle feste che si tengono durante l’anno, posso dire che è molto piacevole la sua presenza. Persone che difficilmente vedo, in situazioni più usuali, aggregarsi, durante queste piacevoli riunioni si intrattengono con più facilità con altri. L’unico limite, a voler essere meticolosi, può essere riscontrato in una sovreccitazione, che però non mi pare si manifesti in atti particolari. Insomma quando dicono che parteciperà lui e insieme ad alcuni ospiti-ammalati suoneranno e canteranno, mi par di capire che qualcosa faccia piacere un po’ a tutti.
Purtroppo non tutti sono in grado di manifestare il proprio gradimento; qualche persona non parla, altre si manifestano con comportamenti un po’ sconnessi, secondo la patologia della propria malattia. Di rimando ci sono coloro che presentano tali problemi, in quanto il loro handicap è di natura più propriamente fisica. Come sarà facile constatare, questo assembramento di persone a volte può risultare di non facile gestione e coloro che vi lavorano lo sanno bene.
Sono sufficientemente contenta di fare parte di questa realtà, sono soddisfatta nel constatare che qui è possibile conservare e avere rapporti sociali soddisfacenti; l’ambiente ha un clima di una giusta permissività e disponibilità.
Quanto ho ora affermato me lo ha confermato Antonella, una volontaria che ho conosciuto quando risiedevo in un altro luogo e con la quale ho conservato in questi anni un bel rapporto, quando capita che mi viene a trovare sono ben lieta che si trovi in un posto per quanto possibile sereno e disponibile. è reso così dalla disponibilità e bravura di alcuni addetti alla nostra molto particolare riabilitazione; anche se non si può dire così di tutti gli addetti a tale mansione, ma è giusto riconoscere che qualcuno fra gli educatori è, in questo settore, un valente e bravo professionista.








MARIA LUISA MICCI





















5 commenti:

  1. Cara Maria Luisa, sei una persona speciale e qualcuno in cielo ha voluto che ti incontrassi, ci vediamo presto - Damiano

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  2. Mi fa piacere che mi hai trovata e che hai cominciato a leggere il mio scritto. Spero con la mia logopedista di riuscire ad aggiornare questo sito e così completare il mio libro, C'è anche un articolo su Lourdes.

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    1. sono io maria luisa...

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    2. Bel blog!!! non avevo dubbi sulle tue capacità narrative. Spero a BREVE di avere i nuovi sviluppi.
      Ci vediamo prestissimo.
      Alexandra.

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  3. Buon giorno,
    Mi chiamo François Servel, e il suo libro mi ha stato prestato dalla nostra amica comune Françoise Aurran. L'ho letto con molta emozione. Mi ha chiesto di tradurlo in francese, perché non capisce l'italiano Prima di farlo, voleva chiederla l'autorizzazione.
    Auguri
    François

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