PRESENTAZIONE
L'idea di questo blog è proprio una bella possibilità che mi viene data per aprirmi meglio
agli altri. Tramite il progetto di "Informabile" e
mediante la vostra collaborazione avrò l'opportunità di far
conoscere la mia esperienza; chi sono, cosa mi è successo, dove sto
e cosa ho fatto in questa particolare situazione. Al contempo avrò la possibilità di mettermi in contatto con chi troverà
qualcosa, in quello che esporrò, da condividere con me e chissà
cos'altro......
Mi
chiamo Maria Luisa Micci, sono romana, ho fatto la professoressa di
ragioneria, tecniche commerciali e turistiche in varie scuole del
settore, a Roma. In ultimo avevo ottenuto la cattedra defitiva
nell'Istituto professionale "Giulio Romano" sito nel
quartiere "Trastevere" dove anche alloggiavo in un
appartamento dietro piazza San Cosimato. Chi conosce la
città può ben capire quanto questi specifici luoghi siano
particolari e mi abbiano dato la possibità di contatti umani e
cultrali diversi e formativi.
Purtroppo,
nella mia vita già bene organizzata e programmata, nel 1985 ebbi un
incidente automobilistico dal quale riportai un trauma cranico e
restai in come per circa un anno. Dal punto di vista neurologico non
riportai gravi problemi, ma la mia totale emiplegia destra non è
andata mai migliorando.
In Francia
dopo il coma, sono stata ospite in un istituto specializzato, infatti
lì sono riusciti a mettermi finalmente in posizione verticale; con
l'aiuto del fisioterapisa riprendevo a fare i "primi passi".
Purtroppo dopo tre anni sono dovuta rientrare in Italia.
Dopo
aver peregrinato in vari istituti romani ed essendomi morti entrambi
i genitori, i miei parenti aretini hanno fatto in modo che venissi
ospitata nell'Istituto di Agazzi in provincia di Arezzo. Sono ormai
quindici anni che sono qui: Istituto di riabilitazione "Madre
della Divina Provvidenza".
Di
particolarmente importante fra le altre cose qui ho potuto imparare
l'uso del PC; ciò mi ha cambiato la vita. Acquisiti gli elementari
strumenti di conoscenza per l'uso di questo importante
strumento tecnologico, ho pensato di usarlo per raccontare la mia
esperienza di vita anche antecente. Ho scritto un libro sulla mia
degenza qui ad Agazzi, riallacciandomi alla vita che conducevo prima
dell'incidente.
Insieme alla logopedista autrice di "Informabile", abbiamo deciso di pubblicare il mio libro diviso in alcune parti per renderne maggiormante fruibile la lettura e sperando che ciò vi stimoli a riflettere, pensare ed eventualmente a postare commenti o suggerimenti nell'apposita casella sottostante.
Insieme alla logopedista autrice di "Informabile", abbiamo deciso di pubblicare il mio libro diviso in alcune parti per renderne maggiormante fruibile la lettura e sperando che ciò vi stimoli a riflettere, pensare ed eventualmente a postare commenti o suggerimenti nell'apposita casella sottostante.
IL LIBRO
PARTE PRIMA
Maria
Luisa Micci
IçI
AGAZZI
Diversamente
abili, fisici e mentali,
dell’Istituto“Agazzi
“
Arezzo
2001
SOMMARIO
PARTE
PRIMA
L’autrice
e prologo del testo
Nota
dell’autrice del presente lavoro
Questo
lavoro per me
Presentazione
Chiesa e ritiro a S. Giuseppe
Breve excursus storico del Centro
Il centro "Agazzi"
Riabilitazione
Fisioterapia
Terzo piano
Visita all'istituto Madre della Divina Provvidenza
Aspetto affettivo e dintorni
2° Piano varie realtà
4° Piano: Epilettici, ritardati mentali, autistici e altri.
Altri
Costa Adriatica, Roma e Argentario
Lourdes
Conclusioni
Riabilitazione
Fisioterapia
Terzo piano
Visita all'istituto Madre della Divina Provvidenza
Aspetto affettivo e dintorni
2° Piano varie realtà
4° Piano: Epilettici, ritardati mentali, autistici e altri.
Altri
Costa Adriatica, Roma e Argentario
Lourdes
Conclusioni
L’AUTRICE
E PROLOGO DEL TESTO
Maria Luisa è
nata a Roma nel 1947 e quì si è laureata in Economia e Commercio
alla Sapienza. Nel 1970 ha vinto una borsa di studio che le dava
diritto a partecipare all’UEM, meglio conosciuta come “Université
Mediterranée d’Eté”
a Aix
en Provence.
Lì ha perfezionato i suoi studi di carattere umanistico e contratto
rapporti di amicizia ancora oggi validi e persistenti. Non a caso ha
scelto di chiamare il suo scritto “IçI
AGAZZI”; questa esperienza è stata fondamentale per la sua
formazione culturale e politica.
Data l’epoca, la
fine degli anni sessanta, quando i giovani erano particolarmente
sensibili all’aspetto del vivere sociale, quest’avvenimento l’ha
molto segnata. Un periodo, un movimento, che i sociologi dell’epoca
definirono “della contestazione giovanile”, a cui lei ha
partecipato attivamente, tanto che già cominciò a sentirsi
cittadina di una futura, prossima Europa.
Dopo
l’abilitazione all’insegnamento è stata nominata per conto dello
Stato, al Lido di Roma. Precedentemente aveva fatto esperienza in
istituti parificati privati. In ultimo è approdata con nomina
definitiva alla scuola superiore per il commercio “Giulio Romano”,
che era situata nello stesso quartiere dove a Roma abitava:
Trastevere.
Era molto attiva
nell’ambito delle attività culturali adiacenti gli interessi della
scuola. Si occupava di teatro e/o di quegli eventi che variamente
arricchiscono le conoscenze dello studente, diversificandone di fatto
l’apprendimento e la conoscenza critica, sviluppando in tal modo il
progetto di un percorso più armonico e al contempo più completo
rispetto a quello di base.
In precedenza
aveva tenuto dei corsi di “animazione teatrale” al mitico liceo
classico “Mamiani” della capitale, avvenimento che lei ha sempre
reputato molto importante per la sua formazione professionale e
umana.
Nel settembre
1985, finiti gli esami di riparazione nella qualità di commissario
(allora ancora esistevano), ritornando da Sperlonga, località marina
vicina al Circeo, ha avuto un incidente automobilistico. Dedussero
che la persona alla guida avesse fatto in modo che la macchina si
sarebbe rigirata su se stessa. Non hanno mai bene chiarito quello che
realmente successe e il perché fosse accaduto.
Il trauma cranico
riportato l’ha fatta restare circa un anno in coma non vigile. Al
risveglio si è trovata emiplegica. Non le funzionava quasi per
niente la parte destra del corpo.
Dopo vario
peregrinare in cliniche e diversi istituti di riabilitazione, aiutata
da alcuni parenti che abitano nella città di Arezzo, è approdata al
centro di “Agazzi”. Questi è sito nella omonima località,
vicinissimo alla città di cui sopra. Qui ha potuto apprendere
l’utilizzo del computer, che la solerte e preveggente cura
dell’amministrazione di tale centro le ha fornito, di fatto avendo
così l’opportunità di potersene servire. In seguito ha
potuto comprarsene uno ed, essendo di sua proprietà, ne ha imparato
l’uso anche per finalità differenti.
Questa, che può
sembrare una normale realtà di fatto, è stata per la redattrice del
presente lavoro, ospite del su nominato centro, una autentica
rivelazione. è
proprio tramite l’utilizzo del suddetto strumento che le è nata
l’idea di fare uno scritto circa questa esperienza che lei ha
vissuto in prima persona.
Trattare della
realtà dei disabili fisici e mentali, che da “interna” era
venuta meglio a conoscere, è diventato quasi come un dovere. In
definitiva, ha voluto far conoscere l’esistenza di chi vi abitava,
vi lavorava o svolgeva al suo interno abitualmente o saltuariamente
altre tipi di funzioni. Insomma far sì che si avesse la possibilità
di saperne di più, di entrare in modo indiretto, ma effettivo, a
contatto con quel tipo particolare di patologie.
Il Centro è
costituito da un edificio principale di quattro piani, che ospitano
varie patologie di persone disabili. Vi sono anche altre strutture
esterne a questo edificio, come le “case famiglia”, che
dipendono anch'esse dall’Istituto medesimo. Continuando la
descrizione nei vari piani c’è il bar, il locale che funziona da
chiesa, le palestre per l’attività fisioterapica, le infermerie,
il laboratorio di ceramica e altri spazi. Questi ultimi sono stati
stimati necessari per svolgere talune particolari attività di
riabilitazione. Proprio queste le hanno reputate essere coadiuvanti
per un graduale superamento psicofisico di taluni ospiti-ammalati. Al
contempo hanno potuto così soddisfare richieste esterne che ormai il
Centro, acquisita una certa fama nel settore, recepiva.
NOTA
DELL’AUTRICE DEL PRESENTE LAVORO
Mi
sono ritrovata a vivere una realtà particolare, a volte molto dura,
infatti non è facile passare ventiquattro ore su ventiquattro con
dei disabili mentali, anche se innocui e quindi di fatto non
pericolosi. L’attenta, vigile cura ed opera di molti educatori mi
fa stare, dal punto di vista della sicurezza fisica, tranquilla.
Sarebbe
auspicabile che ci potesse essere un istituto apposta, adibito per
coloro che sono affetti da handicap fisici, distinto da quello più
adatto a curare specificamente i disagi mentali. Ce ne vorrebbero
dislocati in modo tale che gli abitanti dell’intera penisola
potessero accedervi. Non dico di essere presenti in ogni regione, ma
esistere a sufficienza, in modo da poter rispondere adeguatamente
alle sempre crescenti necessità del settore.
Fortunatamente
in Toscana i Padri Passionisti hanno allestito il Centro “Agazzi”
per disabili; non penso che sia l’optimum, ma qui nella regione è
già una bella e provvida realtà. Io, pur venendo dalla capitale,
per lunghe degenze non avevo trovato nulla che potesse adattarsi
meglio a soddisfare le mie necessità.
Fortunatamente bisogna riconoscere che era in funzione
questo istituto e ha potuto accogliere i degenti del “RAM”. è
successo quando è stato chiuso il manicomio comunale di Arezzo.
Ricordo bene che, quando alcuni suoi ospiti sono arrivati qui da noi,
si è subito capito quanto fossero bisognosi di cure e attenzioni
primarie.
Mi
piacerebbe che questo lavoro servisse almeno a sensibilizzare
l’opinione pubblica, a far sì che si potesse non dico risolvere,
ma quanto meno affrontare il problema che ho sopra esposto. Che cioè
ci fossero più centri di cura per disabili, con una più attenta
distinzione fra le varie patologie; questo per me sarebbe già un
gran risultato.
Ugualmente
lo sarebbe divulgare con più incisione la realtà dei suddetti. Più
genericamente di tutti coloro che per vari, davvero innumerevoli
motivi, si trovano a vivere una più difficile esistenza. Come è il
caso, per l’appunto, di quella dei disabili.
Ringrazio
per l’attenzione
MARIA
LUISA MICCI
ANNO 2000
INIZIO NUOVO SECOLO
QUESTO
LAVORO PER ME
Ho
iniziato questo lavoro solo dopo che hanno assegnato alla bella
Cristiana la conduzione come educatrice del mio gruppo. Le ho dato in
questa trattazione il nome di mia nipote, la figlia di mio fratello
Carlo. L’idea, di fare da qualche tempo una trattazione sul mio
vissuto era diventata per me come una necessità.
Non
ho nessuna intenzione di sottovalutare l’apporto in ausilio che lei
mi ha fornito nell’uso del computer. Come pure la sua disponibilità
a soddisfare la mia grande, ma credo normale, curiosità ad avere
notizie riguardanti l’Istituto. La sua attenta, costante e solerte
presenza mi è stata di stimolo per il compito che mi ero prefissata.
Voglio
affermare e riconoscere quanto mi è stato utile, nonché prezioso,
l’affettuoso e veramente instancabile ausilio, anche finanziario,
del mio fratellone: Carlo. Senza sosta ha provveduto alle mie
necessità. Questo fino a quando non mi è stato riconosciuto e
maturato il diritto a percepire la pensione di insegnante.
La
responsabilità di quanto scriverò sarà solo mia. Si consideri che
sono io che ho scelto le domande da porre e, conservandone la
risposta nella memoria, ne ho poi fatto l’utilizzo quando l’ho
ritenuto più opportuno. Le risposte riportate sono autentiche, la
scelta fatta, riguarda le risposte che ho reputato più consone.
Come
non ringraziare Maddalena, che mi ha molto aiutata. Lei sta in
portineria, risponde al telefono, è la nostra centralinista. Ciò è
stato possibile rubandole il limitato suo tempo di “respiro” che
ha tra le incombenze. Io posso lavorare solo con la mano sinistra e
non bene, perchè è lievemente tremolante. Lei mi ha spesso
coadiuvata quando le sue incombenze glielo permettevano. Ricordo
perfettamente quanto mi è stata utile a mettere in ordine i fogli
del mio lavoro. Con buon profitto si è sostituita alle funzioni che
avrebbe dovuto assolvere la mia mano destra, se non fosse stata
disabile.
Vanno
inoltre riconosciuti alla mia educatrice Loretta molti meriti. Ora è
in maternità, ma è sempre presente in me la fiducia, l’aiuto che
mi ha dato infondendomi fede e coraggio. Sono proprio contenta per
questa futura nascita; l’attesa di questo figlio l’ha resa piena
di gioia e lei la sa trasmettere con generosità. Se tanto mi dà
tanto, immagino la sua felicità a lieto evento avvenuto.
Desidero
anche ricordare la solidarietà e il concreto aiuto fornitomi da
Fabrizio Giorgeschi, ormai psicologo del Centro, nonché mio caro
amico. Pur non essendomi stato vicino fisicamente, ha svolto negli
ultimi periodi ruoli e mansioni diverse, idealmente la sua persona
non mi è mai mancata. Il nostro rapporto si avvale di svariate
esperienze che abbiamo vissuto entrambi con partecipazione.
Inoltre
voglio dire che non dimenticherò tutti coloro che mi hanno
supportato dandomi delle informazioni che mi erano necessarie e hanno
reso così possibile che procedessi alla redazione di questo scritto.
Alcuni
mi hanno chiesto di non indicare il proprio nome ed io ho prontamente
aderito, anche per una corretta applicazione della legge sulla
privacy. Altri, da me informati, non hanno manifestato alcuna
obiezione. Mi hanno dato la libertà di procedere nel modo che
reputassi più opportuno.
Di
fatto questa si è rivelata una iniezione di salutare fiducia; li
ringrazio in modo particolare.
Quando
sono uscita dal coma i miei genitori, all’epoca ancora vivi, mi
hanno mandato a curare a Marsiglia e lì, anche aiutata da amici del
posto, ho trascorso tre anni positivi.
PRESENTAZIONE
Dal
punto di vista medico, in un centro specializzato del luogo, sono
riusciti a mettermi non occasionalmente in posizione verticale. è
stata una profonda emozione, ormai da grande, provare quello che può
sentire un bambino quando arriva ad ergersi sui suoi piedini.
Scoprire così dall’alto quasi un “altro mondo”.
Di
nuovo, anche per me, c’era la possibilità di vedere le cose che mi
circondavano non solo più in orizzontale, ma da una posizione più
abituale a quella degli altri esseri eretti.. Quello è stato per me
l’inizio di una ripresa che credo non si sia più fermata.
Se
oggi sento il dovere di redigere questo scritto, è per usare un
altro modo per dire “grazie” a chi mi è stato vicino, a chi mi
curò con coraggio e non mi abbandonò. Mi è stata data solidarietà
con fede, con professionalità e competenza, tanto da riportarmi
dallo stato quasi vegetativo a persona eretta, pensante ed agente.
Dopo
tre anni sono rientrata in Italia, anche perché mio fratello
gemello, che era rimasto con me per tutto quel periodo, doveva
riprendere la sua vita normale, riprendere a lavorare.
Non
penso che all’epoca io riuscissi a capire bene la situazione che si
era venuta a creare, ma credo di essere stata curata in Francia al
meglio.
Purtroppo,
rientrata in Italia, le cure che ho potuto effettuare qui non possono
essere comparate a quelle che in Provenza mi erano state praticate.
Quelle, pur essendomi state elargite in una struttura pubblica e
senza ulteriore esborso di denaro, mi sento in dovere di affermare
che mi sono state praticate in modo caparbio e minuzioso.
Di
quel periodo ricordo che erano passati solo quattro anni
dall’incidente, quando il centro che mi ospitava e dove mi curavo
ci portò allo stadio a vedere una partita di football della quadra
locale. Il calcio non è mai stato uno sport che io abbia amato in
modo particolare, ma credo che, e non ho alcun dubbio in proposito,
in quella occasione sia stato da me apprezzato.
Ho
aspettato quasi tredici anni affinché si avverasse un’altra
occasione similare. Infatti è stato proprio venendo al centro
“Agazzi” che sono potuta andare a vedere lo spettacolo ”Vota la
Voce”. è
proprio all’interno della manifestazione “30 ore per la vita”
che credo si tenga con ricorrenza annuale. Io l’ho visto in Piazza
Grande ad Arezzo, che è con esattezza chiamata Piazza Vasari. Si
trova nella parte vecchia della città dove si tiene anche l’antica
“Giostra del Saracino”.
Ero
andata a vedere questa manifestazione insieme a quelli del gruppo
della “Comunità” e con i loro vivaci educatori. Questa
combriccola, così formata, è andata anche varie volte a teatro;
sempre insieme abbiamo visto altri spettacoli, che sono passati
all’inizio del nuovo secolo ad Arezzo. Fra questi ricordo con viva
gioia quelli dati da: Panariello, Gianni Morandi, Bennato, e ancora
Teo Teocoli e Gigi Proietti. Come normalmente accade, mi hanno
interessata e coinvolta ciascuno in modo diverso. Con il magico
Proietti ho fatto una vera e propria rimpatriata, un tuffo
nell’umorismo della mia città: Roma. è
un artista che non risulta mai volgare, io credo che ci si trovi di
fronte ad un grande mestierante.
Non
pensavo che mi sarebbe
stato
più possibile fare simili uscite; questo piacevole avvenimento mi ha
riportato a prima dell’incidente, quando con gioia partecipavo
attivamente all' “Estate Romana”. Erano gli anni ottanta e
l’assessore alla cultura di Roma dell’epoca: Nicolini ci
preparava delle estati veramente piacevoli e nuove.
Con
l’allora sindaco Argan, hanno fatto cose che la gente di quel
periodo e chi era giovane non potrà facilmente dimenticare. è
da considerare che era una delle prime volte che la municipalità
assumeva mansioni di vero e proprio impresario.
Tutto
ciò, oltre a fornire un accurato divertimento, mi ha dato
l’opportunità di fare delle conoscenze e amicizie che a tutt’oggi,
nonostante questa mia lunga malattia, sono presenti e quanto mai
importanti. Quel periodo ha coinciso coi miei trent’anni: un’età
piena, matura al punto che non ci si sente più solo giovani. In
prevalenza non si cerca soltanto pura evasione, ma si dà importanza
a situazioni più formative.
Forse
ero anche paga del rapporto ravvicinato con i giovani: i miei
studenti e non avvertivo troppo l’urgenza, la necessità di avere
dei figli miei. Mi sembrava di avere un tempo infinito a
disposizione, ma ora, tenuto conto di come sono andati gli
accadimenti, dico che forse è stato meglio che non mi sia formata
una mia famiglia. Chissà quale sarebbe stata in quel caso la mia
vita? Non ho comunque rimpianti.
Oggi
sono di fatto una persona almeno serena, sapendo che oltre alla mia
persona l’incidente non ha sconvolto la vita di altri. Non sarebbe
stato certo così se avessi avuto prole. I figli sono importanti e
quando, causa una cattiva salute, non si può assolvere al
privilegio-responsabilità di provvedere alla loro crescita, è un
bel guaio.
CHIESA
E RITIRO SAN GIUSEPPE
Siamo
in molti qui all’Istituto principale: circa duecento degenti.
L’anziano padre Sergio, tra i suoi molteplici impegni, coadiuvato
da quello che qui chiamiamo “fra Luciano”, cerca di fronteggiare
le nostre necessità di carattere religioso.
Quest’anno
la pur breve vacanza di cinque giorni al mare è stata proprio sui
generis. Infatti siamo stati ospiti nel ritiro “San Giuseppe” che
i frati Passionisti hanno proprio in cima al monte Argentario. E'
un luogo che normalmente ospita coloro che sentono la necessità di
dedicare del tempo all’esercizio del ritiro spirituale.
Da
quel posto magnifico, oltre ad una serenità tutta particolare, si può
godere un panorama unico; raramente mi era capitato di emozionarmi
così tanto di fronte a una natura così bella e pressoché
incontaminata. Dal giardino del “ritiro” si domina tutta la
laguna di Orbetello. Si può intravedere Porto Ercole, Porto Santo
Stefano, mirare in lontananza persino l’isola d’Elba e altre
località famose per le loro attrattive naturali. Non ho mai visto un
giardino con una vista tanto entusiasmante; io sono una romana e di
bei giardini la mia città può giustamente esser fiera, ma questo mi
ha affascinata, direi rapita.
Una
vera goduria era anche la vista che si poteva ammirare dal pulmino
quando si scendeva il monte per raggiungere il mare. Anche se non ci
fossero stati altri motivi di apprezzamento, questa vacanza è stata
un notevole ricostituente per gli occhi. Essi infatti, hanno potuto vedere cose
quasi uniche e più in generale è stato un vero toccasana per lo
spirito. Ne aveva proprio bisogno.
Una
cosa che non mi è possibile sottovalutare è che in questa occasione
ho conosciuto padre Paolo. E'
un tipo particolare di uomo; non si può restare non attratti
dal suo cortese modo di fare: si è messo a nostra completa
disposizione. Le nostre educatrici non ne hanno approfittato, anzi
era nostro ospite ai pasti principali. Gli educatori insieme all'infermiera Marta, in cucina sono stati bravissimi ed in poco
tempo ci preparavano dei succulenti pranzetti.
Con
gioia padre Paolo accettava il loro cortese invito, lui dava
l’impressione di gradire con piacere. Al contempo così io mi
sentivo meno in colpa per tutto il lavoro in più che gli abbiamo
arrecato.
Provvidenziale
è stata per me la sua conoscenza; infatti, mi ha fornito quelle
informazioni che mi erano necessarie per scrivere un veritiero
riepilogo riguardante questo Istituto.
Da
molto tempo anelavo averle e lui, che è stato a svolgere la propria
funzione negli anni passati qui al “Centro”, mi ha completamente soddisfatta. Spero solo di aver capito
tutto bene, di aver trascritto esattamente quanto lui gentilmente
mi ha portato a conoscenza.
All’Argentario
i Passionisti hanno due monasteri molto belli e particolarmente
accoglienti. La cosa deve essere nota perché, proprio nei giorni in
cui noi eravamo ospiti nel ritiro “San Giuseppe”, nell’altro
monastero, giusto dabbasso, si svolgeva una riunione di tutti i
vescovi della Toscana. Non so il motivo della loro riunione, ma
essendo presente il vescovo di Arezzo i miei educatori lo hanno
invitato a cenare con noi e lui ha accettato.
Piacevolmente
ci siamo intrattenuti e speriamo che sia possibile vedere le foto che ci hanno scattato. Durante la serata poi era stato raggiunto dai suoi
colleghi vescovi e insieme hanno potuto vedere il tramonto dall’alto
del monte e ammirare l'imponente croce
illuminata che è sita non molto lontano dal rifugio che ci ospitava.
E' stata una serata molto particolare e non avrei, in altri tempi,
supposto di vivere con tanta naturalezza tutto ciò: è stata una
serena realtà.
Quando
il venerdì siamo partiti, prima di far ritorno ad Arezzo siamo andati a visitare i luoghi caratteristici di quella
zona di mare e quello che resta di una antica città etrusca. Mi sono
ancora ulteriormente deliziata.
BREVE
EXCURSUS STORICO DEL
“CENTRO”
Solo
occasionalmente, come poc’anzi ho riportato, sono venuta a
conoscenza di alcune importanti informazioni che mi necessitavano.
Esse mi permettono di illustrare, sia pur in modo succinto, ma spero
comunque esauriente, il come e attraverso quali vicissitudini è
sorto questo Centro.
In
Provincia si sentiva l’esigenza da parte dell’ordine dei
Passionisti di strutturare un nuovo “Alunnato” che fosse in grado
di rispondere più adeguatamente ai tempi che erano ormai cambiati.
Si
individuò un certo apprezzamento di terreno di pressappoco
diciassette ettari nella collina di Agazzi. Questi era sito a circa
cinque chilometri dalla città di Arezzo. L’appezzamento di terreno
apparteneva all’Istituto Missioni Estere di Milano ed è stato solo
nel 1949 che, espletate le ultime formalità per l’acquisto, si
poté abitare la villa che vi era annessa.
Sin
dall’inizio degli anni cinquanta si cominciò a ristrutturarlo per
ciò a cui era destinato: un locale della villa si adibì a cappella.
Per il resto in un primo tempo i religiosi ne fecero uso per le loro
abitazioni.
Fu
così che si articolò la faccenda, fino a quando, all’inizio degli
anni sessanta arrivarono una cinquantina di alunni. Provenivano dal
convento di S. Eutizio di Soriano del Cimino, che è nelle vicinanze
di Viterbo. Le condizioni del nuovo “alunnato” erano ancora molto
disagiate e allora i ragazzi furono trasferiti al convento di
Firenze.
Nel
frattempo si pensò bene che bisognava terminare i lavori che erano
stati iniziati e così fu fatto. Contemporaneamente si diede l’avvio
ad un operato di prevenzione coi ragazzi del luogo. Era il 1962 ed a
questa attività si diede il nome provvisorio di “Casa della Divina
Provvidenza”.
L’operato
svolto fu molto apprezzato, ma con il migliorare della situazione
sociale era diminuita la necessità di prestare quel tipo particolare
di assistenza.
Ormai
la seconda guerra mondiale era finita da tempo e l’Italia stava
portando avanti la ricostruzione industriale, anzi si era in pieno
boom economico. Con l’industrializzazione del paese, che ormai
aveva preso piede, si cominciarono ad avvertire nuove esigenze. Si
constatò che la popolazione ora era soggetta a un disagio nuovo,
molto diverso dai precedenti. Con il maggiore benessere esso era
anche il frutto di una situazione sociale, politica e economica
differente.
Solo
nel 1965, su consiglio del medico psico pedagogico per ragazzi, si
scelse di seguire quelli con insufficienze mentali dai sei ai dodici
anni. Iniziò così una nuova esperienza che sfocerà in quella che è
la situazione attuale. Da allora si iniziò a farle assistere gli
ospiti da medici ed educatori specializzati.
In
virtù di una legge emanata negli anni settanta, riguardante gli
invalidi, e il conseguente intervento dell’allora ministro della
santità, a poco a poco mutò il tipo di ospiti assistiti
nell’istituto in oggetto. Il cambiamento fu tale che esso prese una
nuova denominazione “Comunità giovanile di Agazzi”.
Purtroppo
iniziarono ha sorgere disguidi tra la regione Toscana, i sindacati e
i Passionisti, i quali meditavano di porre termine all’attività,
ma finalmente terminate le burrascose vicende si arrivò all’attuale
sistemazione.
Il
nuovo nato prese il nome più generico di ”Istituto per la
Riabilitazione”.
IL
CENTRO “AGAZZI”
E' una bella, provvida realtà quella della “riabilitazione fisica e
mentale” che opera in questo Centro. Essa è stata voluta in
primis dai frati Passionisti, tutt’ora sempre presenti. La
conduzione, pur essendo negli anni inevitabilmente mutata nei fini e
nelle persone, ha comunque conservato validità e vigore innovativo.
C'erano
Padre Emidio e padre Sergio, coadiuvati da una équipe
non solo medica. Di fatto, insieme ad una solerte amministrazione,
anche i Padri presenti oggi, portano avanti tutte le molteplici
attività dell’Istituto “Agazzi”. Ho cercato di illustrare il
suo sviluppo da una primaria esperienza; le informazioni che ho avuto
mi hanno consentito solo questa conoscenza. L’evoluzione di cui
poc’anzi ho descritto mi porta a considerare anche il suo prossimo,
possibile futuro. Cioè quando il vecchio e ormai superato ospedale
della città fu sostituito da una struttura molto più grande ed
efficiente, i vecchi locali furono destinati ad altre eventuali,
possibili occupazioni.
Qui
è subentrato il Centro che solo di una piccola parte dell’edificio
dell’antico ospedale cittadino se ne è servito. Ne ha fatto una
dépendance operativa, infatti, è lì che ha creato un apposito
locale adibito alla manutenzione delle carrozzine che servono al
trasporto dei disabili.
Volendo
trovare una occupazione retribuita ad alcuni suoi ospiti in grado di
svolgerla, ha pensato di entrare nella conduzione della gestione
della nuova pizzeria-ristorante di Agazzi: il “Rintocco”. Questa
gioiosa realtà si dovrebbe inaugurare fra breve e andrà a
sostituire quella che già una volta c’era.
Sempre
il medesimo porta avanti l’esperienza che aveva già iniziata, cioè
quelle delle “Casa Famiglia” e di taluni appartamenti presi in
affitto per conto di alcuni suoi ospiti. Quelli ormai giunti sulla
via di una guarigione definitiva. Ci sono ospiti più abilitati
rispetto agli altri che insieme ai rispettivi operatori forma il
gruppo della “Comunità” di cui mi è capitato già di accennare.
Queste
due ultime realtà credo che meritino una più attenta analisi; a
parte, in separata sede tratterò di questo modo particolare di
condurre la propria esistenza.
Come
si può facilmente immaginare le realtà sopra enunciate richiedono
per la loro conduzione un’accurata attenzione e abilità. Molto
difficilmente tali doti si possono improvvisare, ma di fatto qui
stanno ottenendo dei risultati positivi.
C’è
da dire che l’impegno, così diversamente articolato, che il Centro
oggi si trova a svolgere, è il frutto di molti anni di esperienza
nella “riabilitazione”.
Non
deve essere stato facile e qualche volta possono essere stati
compiuti degli errori, anche perché realtà similari non credo che
ce ne siano molte. In tutta Italia e a tutt’oggi penso che queste
presenze si possano contare sul palmo della mano.
Di
soldi ne devono girare parecchi: nella sede centrale siamo poco meno
di duecento persone paganti. Alle normali rette vanno aggiunti gli
introiti di quelle attività che, pur dando origine a iniziali
esborsi di denaro, nel complesso non possono considerarsi in perdita.
Anzi credo siano portatrici di un buon reddito.
Vero
è che si devono fronteggiare una miriade di spese, affinché il
tutto proceda dignitosamente e con successo. è
necessaria una amministrazione attenta, accurata e vigile perché i
rischi economici possono essere molti. Quella odierna è
un’azienda-impresa privata, dove lavorano molti dipendenti e non è
proprio il caso che l’attività vada a picco.
Penso
che un’esperienza in questo settore sia importante che possa
sopravvivere; soprattutto se si considera - e rimarco - che nel
nostro Paese di realtà operanti nella riabilitazione fisica e
mentale non ne esistono veramente molte. Di fatto manca, come ho già
fatto notare, la possibilità di un sano, reciproco e quindi
produttivo raffronto. Cosa questa di cui sarebbe per lo meno
auspicabile poter usufruire; un tale confronto è fuor di dubbio che
risulterebbe di grande aiuto e beneficio in questa specifica
“attività-realtà”.
RIABILITAZIONE
Qui
al Centro la riabilitazione è suddivisa in due grandi tronconi:
quella fisica (Fisioterapia) e quella del linguaggio (Logopedia). La
prima è attuata soprattutto su adulti sia interni che esterni;
conoscendo l’ambiente, in quanto anch’io ne ho usufruito, la
tratterrò in modo distinto.
La
fisioterapia, non perché la reputi più importante tra le attività
di recupero, ma essendo una disabile fisica come ho poc’anzi detto
ne ho una conoscenza più diretta. Iniziai a praticarla subito dopo
entrata in questa struttura, ma ormai mi capita di praticarla solo
con una certa saltuarietà. Considerando che ho fatto il mio ingresso
in questo Istituto all’inizio del 1998, lascio al lettore le
considerazioni relative.
Della
logopedia non ne so un gran che: è esercitata sia sull’età
evolutiva che su pazienti adulti interni ed esterni. Penso che nel
complesso il lavoro sia svolto da una équipe
di varie logopediste, con almeno uno psicologo e un neuropsichiatra
infantile, Neurologo, Fisiatra.
Non
riesco ad immaginare come si possa svolgere una di queste sedute e
vorrei molto assistervi: sarebbe interessante per un mio
arricchimento culturale e curiosità personale. Così, inoltre,
verrebbe a realizzarsi una più pertinente conoscenza del luogo in
cui vivo.
Quello
che ho poc’anzi enunciato, ossia la riabilitazione fisica e del
linguaggio, è orchestrata in differenti spazi. Ci sono anche vari
ambulatori all’uopo allestiti.
FISIOTERAPIA
Erano
ormai circa dieci anni che non avevo avuto più la possibilità di
avere sedute di mobilizzazione del mio corpo. Oltre a fare bene al
fisico, sono anche un diletto per lo spirito. è
appunto venendo in questo Centro che ho potuto conoscere il
fisioterapista Egidio; lui è stato il primo tecnico a non farmi
sentire la mancanza del mio iniziatore francese.
Di
lui non ricordo il nome, ma il suo operato è rimasto indelebile nel
ricordo e nel mio cuore. Come dimenticare la sensazione che ho
provato quando ho potuto rivedere la realtà da una posizione più
comune a quella degli altri esseri viventi: quella eretta.
Egidio
è stato il tecnico specifico del movimento che mi ha fatto scoprire
anche una versione ludica di questo trattamento. è
vero, è faticoso e impegnativo riattivare in modo sistematico gli
arti che si sono come atrofizzati. Le sedute con lui erano una vera
delizia per il mio corpo di disabile. Di fatto sono stati Egidio e
Loretta, la mia prima educatrice, ad insegnarmi che si può essere
abili in un altro modo. Lui oltre ad essere una persona adeguatamente
preparata professionalmente è anche molto sensibile, dote questa che
in un essere umano apprezzo enormemente. La sensibilità trovo che
sia una qualità inscindibile per questa specifica professione.
Col
mutare di alcune abitudini, comportamenti e usi anche l’istituzione
famigliare ne è stata toccata; con questo non voglio esprimere un
giudizio di merito, solo dire che si è sentita la necessità di
affiancarle un aiuto esterno nei casi di bisogno.
Spesso
i figli, o per lo meno i più giovani, non riescono bene ad adeguarsi
ai mutamenti avvenuti all’interno della famiglia tradizionale. Può
accadere che possono avvisarsi anomalie comportamentali e potrebbe
essere di ausilio per aiutare a risolvere taluni problemi che
potrebbero emergere nelle diverse circostanze.
La
figura del logopedista e dell’équipe medica che spesso lo affianca
sono stati in alcuni casi provvidenziali; credo che di quello staff
dovrebbe far parte anche il fisioterapista Egidio.
Infatti
vedevo, anche quando aveva me come paziente, dei bambini che lo
aspettavano per il trattamento; oltre la sua preparazione
professionale, ai dirigenti deve essere nota la caratteristica di cui
prima parlavo: la sensibilità. Se hanno messo lui a svolgere un
lavoro così delicato ci sarà pure un valido motivo.
Dopo
varie sostituzioni, ora lui non mi tratta più, al suo posto c’è
Emiliano. Nel momento che sto scrivendo questa trattazione è il mio
attuale, nuovo fisioterapista; di lui sono abbastanza soddisfatta, ma
non so quanto tempo lavoreremo ancora insieme. Non capisco bene il
motivo, il perché devo, come mi è già capitato, interrompere
questo trattamento che invece trovo molto salutare ed efficace.
Raggiunta
una situazione di lavoro proficua e realizzato un feeling positivo,
mi dispiacerebbe parecchio interrompere quello che è stato con
reciproco impegno acquisito.
Qualche
volta in istituto mi capita di rivedere Egidio ed è una gioia per me
incontrarlo; non dimentico, è stato proprio nelle sale antistanti
adibite alla palestra, che ho fatto le mie prime conoscenze con gli
altri degenti di questo istituto. è
il caso di un uomo non più giovanissimo. è
divertente sentirlo raccontare, con la dovuta discrezione, delle sue
visite presso le meretrici del sesso. Molto spesso viene suo padre a
prenderlo per restare uno o più giorni a casa propria; suppongo che
sia in quelle occasioni che egli si premunisca per soddisfare quelle
“particolari” necessità.
In
attesa del mio turno di fisioterapia, lo sentivo discutere ed
affermare con molta convinzione che sarebbe campato a lungo, fino a
cento cinquant’anni almeno. Alla conseguente, facile battuta, che
per raggiungere tale traguardo doveva fare attenzione a non fare
troppi stravizi, egli sembrava non preoccuparsi troppo per quello gli
veniva detto. Il nostro simpatico uomo infatti non sembrava turbarsi
più di tanto.
Osservandolo
bene attentamente, mentre rievocava quegli incontri, si aveva
l’impressione che solo il ricordo di quelle molto particolari
visite sembrava rinnovargli il piacere. Quelle, almeno per lui, erano
proprio delle salutari sedute.
Inoltre
c’è anche una piscina per coloro a cui i medici hanno prescritto
esercizi in acqua. Qui non l’ho mai usata, ma in altri istituti ho
conosciuto anche questa esperienza. Devo riconoscere che la
sensazione che questa pratica mi procurava era gradevole.
Il
ricordo inevitabilmente andava a ben altre falcate, non sono mai
stata una provetta nuotatrice, ma me la cavavo. Anche ora scrivendo
mi vengono in mente le stupende nuotate, gli affascinanti fondali che
sono un lieto ricordo della mia lontana vacanza in Corsica.
TERZO
PIANO
Inizierò
a parlarvi ora del reparto in cui al momento, alle soglie del nuovo
secolo, sono ricoverata: è quello del 3° piano. Di conseguenza è
quello che oggi conosco meglio. Nel Centro, oggetto del mio lavoro,
c’è un immobile principale di vari piani che ospita disabili con
differenti patologie. Credo che abbiano cercato di suddividerli
principalmente in base al tipo di malattia o particolarità
comportamentale che li caratterizza. Penso che nella suddivisione dei
degenti nei vari reparti i dottori, cioè dirigenti-responsabili,
abbiano considerato vari fattori. Avranno preso in considerazione le
loro reciproche terapie, come pure mezzi o strumenti che possano
essere d’ausilio per il loro auspicabile, possibile recupero.
Per
quanto attiene a quest’ultima possibilità voglio dire del caso che
mi concerne: mi hanno permesso l’acquisto del computer. Anzi c’è
nell’azienda un addetto che si occupa anche di questo settore. Sono
certa che non devono essere stati pochi i problemi, forse non gravi,
che ha rappresentato permettermi di avere un mio computer
funzionante. L’utilizzo che ne faccio è soprattutto per lo
scrivere come nel presente frangente, ma ancora mi occorre l’aiuto
di una persona quando mi capita di creare dei così detti “casini”
col mio apparecchio.
Mi
piacerebbe avere la possibilità di poter usare Internet e così
mandare posta elettronica. Questi, ormai considerati attuali mezzi di
comunicazione, per me rappresenterebbero anche una conquista. Un
ostacolo non indifferente può concernere avere a disposizione una
presa autonoma telefonica. L’eventuale allacciamento individuale
del telefono servirebbe per poter individuare con precisione il costo
delle operazioni che scegliessi di fare.
Mi
auguro di poter trovare in commercio un cellulare e che sia in grado
di poterlo usare. In modo tale che io possa dare svolgimento a quelle
funzioni specifiche concernenti il servizio desiderato.
Credo
che, fin quando non avrò a disposizione un portatile che mi permetta
un fattibile, facile e pratico collegamento con una rete in grado di
soddisfarmi, ciò resterà un sogno.
Vorrà
dire che sarà un progetto per un prossimo futuro, rimarrà una
possibilità da realizzare. Non è per consolarmi che mi dico: “non
è questo un bisogno primario”. Come ho avuto con rammarico
l’opportunità di constatare, anche prima del mio incidente, a
molte persone succede di non poter soddisfare diritti, necessità
basilari. è
questa invece una realtà di molti.
Questo
piano ospita la R.S.A. (Residenza Sanitaria Assistita) che è formata
da degenti che, causa svariate motivazioni, debbono restare
ricoverati. Sono diverse le patologie che i dottori-responsabili si
trovano lì a dover curare; anche se coadiuvati dai medici di base
che ciascun ospite deve avere. è
comunque un gran lavoro. Ancor più se si punta ad un auspicabile,
possibile recupero dell’ospite-ammalato.
Anche
qui c’è un numero rilevante di disabili mentali, ai quali si sono
aggiunte alcune persone che erano ospiti dell’ex manicomio comunale
di Arezzo. Quest’ultimo è stato ormai chiuso e oggi alcuni suoi
ospiti soggiornano in questo Istituto. Può capitare che questi
ultimi combinino qualche malefatta, può succedere che sfuggano allo
sguardo, sia pur accurato, di chi è preposto a controllarli.
Comunque ciò che è accaduto, fino ad oggi, non possono essere
reputati fatti gravi. Come entrare impropriamente in una certa stanza
e prendere possesso di altrui giornali. Il guaio nel mio caso sarebbe
che, essendo io una disabile fisica, non sarei in grado e con
auspicabile facilità di rimettere le cose in un ordine a me
funzionale, o perlomeno in posti più sicuri per quello a cui tengo
in modo particolare. A questo proposito ricordo che, quando fui
vittima di un incidente di questo genere, non mi rincrebbe tanto per
le riviste in sé, ma quanto per i possibili fogli o documenti che
potevo avere messo all’interno; è
da considerare che la maggior parte di questi degenti non sa leggere.
Forse ad attirarli è la curiosità verso cose sconosciute, o che non
utilizzano abitualmente.
Voglio
dire, e quanto mi è parso di capire lo conferma, che è stato un
gran bene quando alla chiusura di quel tipo di istituto alcuni suoi
degenti potessero venire qui. Penso che per alcuni di loro sia stato
quanto meno più salutare vivere fra gente così detta “normale”.
Cioè fra persone che almeno non abbiano comportamenti cronici. o
quanto meno nefasti. E' proprio vedendo il comportamento, i modi di vivere di costoro che ho
tratto certe considerazioni. Infatti ho dedotto che la sopra già
citata istituzione comunale, per un eventuale, possibile, loro
recupero psicofisico, doveva lasciare molto a desiderare.
Necessitava
disporre di un luogo più consono per poter alloggiare i degenti che
questo ente civile ospitava. è
stata una buona occasione per alcuni di loro trovare posto in questo
Centro. Si può notare come talune di queste persone sembrano come
rinate. Ciò dimostra che non sono necessarie grandi innovazioni, né
sconvolgenti cambiamenti affinché le cose possano realmente
progredire migliorando. Di fatto può essere sufficiente, bastare non
molto, per rendere più gradevole una vita già provata.
Al
Centro, quando abbiamo bisogno di dover espletare bisogni fisici,
basta farlo capire all’educatore presente in quel turno. Questi ci
mette in condizione di poter soddisfare le nostre abbisogna. Si è
presto intuito che quelli che venivano dal R.A.M. non erano abituati
a tale efficienza; ricordo l’espressione disorientata che avevano
quando li portavano al wc.
I
wc sembravano per loro posti per lo meno molto poco abituali; ne ho
dedotto che con probabilità li facevano restare a lungo con il
pannolone. Credo che rimanessero così fin quando chi preposto alla
loro sorveglianza e cura avesse deciso che era giunto il tempo di
cambiarli.
Per
mia triste esperienza personale, ormai lontana per fortuna, posso
affermare che è molto sgradevole restare con i propri bisogni fisici
addosso. Una volta che si sono espletati è gradevole liberarsene
quanto prima. Per l’appunto una gran, gradevole liberazione per me
è stata quando, un volta giunta al centro “Agazzi”, mi hanno
dispensata dall’utilizzo del pannolone,
L’utilizzo
di tale mezzo è utile a superare situazioni di emergenza. Mi
riferisco a quelle circostanze relative alla necessita di soddisfare
quelle particolari esigenze primarie che non si è più in grado di
controllare bene.
Le
mie ore giornaliere e anche quelle notturne, una volta giunta in
questo Istituto, non erano più contaminate dall’utilizzo di
codesto, sia pur utile strumento di funzionalità. Essere stata messa
in grado di farne a meno è stata come una liberazione. Non avevo mai
provato una emancipazione così liberatoria, è il caso di dire
proprio “sulla mia pelle”.
E' stata veramente una gradita novità, ormai non credevo più
possibile fare a meno di un simile mezzo di liberalità. Da quando
avevo avuto l’incidente, in tutti i posti dove ero stata a curarmi,
non mi avevano risparmiata dal suo utilizzo. è
proprio il caso di dire che per me liberarmi dall’uso del suddetto
ha significato raggiungere una nuova, basilare “emancipazione”.
Come
tutti i presenti degenti la notte sono dotata di un campanello, che
mi permette di chiamare il nottante di turno all’occorrenza. Sembra
facile a dire, ma perché tutto funzioni bene occorre una
organizzazione che sia molto efficiente.
Al
Centro “Agazzi” alloggiamo pagando una regolare retta mensile. A
parte si può elargire una somma di denaro per alcuni servizi
ausiliari, se ne è fatta richiesta. In quanto codesta gestione è in
grado di soddisfare diciamo anche servizi suppletivi.
Per
quanto mi concerne sono stata ben lieta di potere usufruire di questa
opportunità che, a una più attenta analisi, si è rivelata una
utile comodità.
La
direzione-amministrazione è molto sensibile alla efficienza e buona
funzionalità del Centro. Mi ricordo bene quando di notte qualcuno è
venuto a controllare se tutto funzionasse come dovuto. Non so il
risultato di questa indagine e che cosa abbiano realmente trovato.
C’è da dire che in questo Centro non ci si sente abbandonati.
E' difficile accettare la ormai avvenuta “non abilità”. Quando si
ha la fortuna di imbattersi in una struttura, che seguendo le normali
leggi di mercato, ti dà una mano a superare le inevitabili
difficoltà, è un grande ausilio. Quelli che a noi disabili appaiono
come inesorabili impedimenti, ho potuto constatare che, con un aiuto
mirato, è stato possibile affrontarli con maggiore ottimismo. Credo
di poter affermare che quando questo accade la sensazione che
proviamo è veramente molto piacevole.
Il
mio attuale gruppo è formato da nove persone-degenti e da tre
operatori che si alternano, in modo che due sono generalmente
presenti la mattina e uno il pomeriggio.
Durante
i pasti principali, in taluni casi si potrebbe aver bisogno di un
ulteriore ausilio, qualche volta è presente anche un’infermiera.
Nel pomeriggio e nei momenti più critici, è possibile che ci sia
saltuariamente un operatore aggiunto che dovrebbe aiutare chi ne ha
più bisogno. All’occorrenza anche l’infermiere di turno viene
chiamato. In ultima analisi sono codesti gli addetti che dovrebbe
assolvere le necessità avvertite dai vari gruppi del piano.
Come
ho già scritto, anche a causa dell’entrata in maternità della mia
prima educatrice ”Loretta”, è stato da poco riorganizzato. C’è
stato qualche mutamento, sono entrati educatori che non conoscevo a
svolgere un lavoro tanto delicato quanto indispensabile.
Essendo
questo il mio habitat, mi auguro mi sia più facile venire a
conoscenza di notizie riguardanti chi lo compone. Pur aderendo ad una
corretta forma di privacy, vorrei però che si comprendessero le mie
esigenze per una maggiore informazione.
Generalmente,
allorquando nella stesura del presente documento darò l’indicazione
del nominativo del personaggio che sto trattando, esso sarà un nome
fittizio. Salvo qualche eccezione, avendo avuto l’autorizzazione
verbale, sarà quello anagrafico. Le persone che organizzano e
realizzano taluni servizi in questo Istituto, ormai di interesse
nazionale, sarebbero non difficilmente individuabili.
Chi
conosce l’ambiente non avrà molta difficoltà a riconoscere i
personaggi; d’altro canto è un inconveniente che devo accettare se
voglio scrivere del reale, di quello che odo, ascolto, percepisco.
Quando
sono entrata avevano deciso di formare l’unità del R.S.A.
(Resistenza Sanitaria Assistita) e la nostra provenienza era varia.
Per quanto mi riguarda l’ultimo istituto, che più a lungo mi aveva
ospitato, era a Roma. Non lontano dai parenti, amici, interessi. Devo
dire che malgrado la mia lunga, ormai inevitabile, degenza non mi
sentivo molto isolata.
Di
fatto, risvegliatami dal lungo coma, a poco a poco mi ero ripresa,
avevo cercato comunque di tenere sempre la mente occupata. Mi stato
molto vicino, nei primi anni di questa non facile mia condizione, mio
fratello gemello. Infatti, venendo ad Arezzo ho mio malgrado dovuto
affrontare una nuova realtà: provare cosa vuol dire non poter
beneficiare della sua costante non indispensabile presenza. Era
giusto che avvenisse e riconosco che così è stato più facile per
lui riprendere in mano la sua vita.
Prima
del mio incidente vivevamo una vita molto indipendente, io a una
certa età avevo preferito andare a vivere per conto mio. Cercandolo
avevo trovato in affitto un appartamento nel quartiere dove
insegnavo: Trastevere.
Ora,
dopo questa lunga divagazione, ritorno a parlare del primo mio gruppo
di appartenenza qui all’Istituto di ”Agazzi” e ci sono anche,
come ho già detto, alcune ex degenti del R.A.M.
Quello
che mi aveva fatto più impressione era, ricordo bene, il modo quasi
selvaggio che questi ultimi avevano di gettarsi letteralmente sul
vitto. Assistere a questo spettacolo non era molto consolante quando
giungeva l’ora dei pasti.
Osservando
il loro modo di fare era facile pensare che di varietà cibo non ne
avessero vista molta. Per quanto concerne la qualità e quantità qui
non ci si può lamentare; anzi io facendo poco movimento,
essenzialmente soltanto quando capita di fare attività
fisioterapica, sono in soprappeso e sono costretta a stare a dieta.
Loro,
gli ex degenti del R.A.M., sì sono ripresi e decisamente ora si può
affermare che sembrano apparire come persone diverse. Ad una non
attenta loro visione si avrebbe una certa difficoltà a riconoscerli.
Io sono nata dopo la guerra e non ho mai patito la fame; non so cosa
vuol dire provare quella sensazione. Di certo non sarà paragonabile
a stare un po’ attenti per non ingrassare troppo e così non
arrecare ulteriore danno a un organismo già disagiato.
Per
quel che concerne la mia dieta, debbo dire che il principio l’ho
accettato. Mi farebbe piacere sentirmi più agile e la mia salute ne
sarebbe beneficata. Non dico riacquistare l’aspetto che avevo prima
dell’incidente, ma riacquisire almeno una maggiore grazia che credo
di aver perso.
Bisogna
considerare che ormai è passato diverso tempo dal giorno
dell’incidente, avvenuto nel 1985. Per una maggiore esattezza c’è
da dire che dalla gola mi faccio ricattare ignobilmente!
Ho
sempre pensato di me di avere un carattere forte, ora dovrei riuscire
a dimostrarlo; mi auguro di arrivare a dimagrire un po’ e prendere
il fatto come incentivo a bene continuare. Verbalmente non mi è
difficile riconoscerlo, tutto il mio organismo ne avrebbe notevoli
vantaggi. Forse scriverlo è un aiuto ad auto convincermi; spero solo
di riuscire a raggiungere questa ardua impresa. Non è che mangi
molto, ma le energie che quotidianamente consumo sono minime.
Mi
somministrano poche medicine come terapia medica: è tenuta sotto
controllo la pressione minima e l’ulcera duodenale di cui sono
soggetta. Sento però forte l’esigenza di fare un po’ più di
moto; non solo per attivare in modo più incisivo le gambe, pressoché
immobili, come pure le braccia-mani e per quello che è possibile
pure il tronco.
Quando
mi capita di fare della salutare attività fisioterapica capisco bene
la differenza che fa la sua mancanza. Mediante tale disciplina mi
sembrava di essere più agile, avere meno dolori quando mi capita di
fare dei movimenti non usuali. Tenuto conto della mia precaria forma
fisica, già questi non sono molti, e limitare un loro possibile,
auspicabile aumento mi sembra un vero peccato.
C’è
da dire che io sono tra le interne quella che ha usufruito da subito
di questo servizio e per due volte la settimana, salvo inconvenienti.
è
d’uopo dover rimarcare che qui i fisioterapisti sanno il fatto
loro, ovvero sono bravi nella loro professione. Mi è capitato di
incontrare delle persone, che come me aspettavano i trattamenti
specifici, che mi hanno detto esserci una lista di attesa per questo
servizio. Essendo alquanto soddisfatte del suddetto, non gli pesa più
di tanto questo inconveniente.
Mi
ricordo di Teresa; avevamo lo stesso fisioterapista e quando l’ho
rincontrata durante un pellegrinaggio a Lourdes mi sono sentita
contenta. Non sapevo che avrei trovato anche lei in quel viaggio; io
ero con dei miei amici di Firenze che si erano occupati della mia
partecipazione e mi ha fatto molto piacere incontrarla. Lei le sale
di fisioterapia dell’istituto le frequentava in quanto cliente
esterna.
Ultimamente,
proprio da un tecnico del movimento che entrambe conosciamo, mi ha
cercata e mi ha mandato i saluti; devo riconoscere che per me è un
vero piacere constatare che conservo ancora un minimo di rapporti
sociali. Una volta erano importanti e molto presenti nella mia vita.
Conservo
di quel viaggio su ricordato un ricordo veramente molto bello, delle
persone incontrate, delle esperienze fatte. Credo che questo vissuto
mi terrà felicemente compagnia in avvenire.
Constatare
che qui, sia pur per circostanze fortuite, conservare per l’appunto
un minimo di rapporti sociali è possibile, mi inorgoglisce. Spero di
poterla rivedere e so, per quel concerne questo obiettivo, di poter
contare sulla collaborazione degli operatori che qui lavorano.
Nel
mio gruppo c’è una paziente che mi ha molto aiutata; lei è
veramente molto gentile e dà soccorso in generale un po’ a tutti. E' affetta da una forma non grave di ritardo mentale. Forse soffre un
tantino troppo di quella che comunemente viene chiamata gelosia. Di
conseguenza, se secondo lei danno troppa importanza a un altro
malato, diventa un tantino aggressiva. La differenza la si nota
subito perché invece normalmente è molto amabile e ben disposta nei
confronti degli altri. Io, quando lei manca, perché ritorna per
pochissimi giorni a casa propria, avverto l’assenza della sua
persona. Sono comunque contenta per lei che quando le sia possibile
possa cambiare ambiente. Non le capita questo di frequente, credo che
la situazione della sua famiglia sia un po’ complicata. Io so solo
che è figlia di due persone che hanno divorziato.
Io
non l’ho mai vista leggere una rivista o un libro, ma credo che non
sia analfabeta, forse è solo un po’ pigra. Se è così vorrei
molto che fosse possibile stimolarla; ciò farebbe bene alla sua un
po’ debole psiche. Dico questo, ma sono ignorante in materia - mi
rendo - conto e solo come osservatrice.
Molte
delle rilevanze che farò potranno avere questa caratteristica e
vanno prese come tali: posso solo assicurare il lettore circa la mia
onestà a riportare la veridicità di vicende ed accadimenti
accaduti.
Forse
la rilevanza che ho fatto poc’anzi è molto pertinente al lavoro
che facevo prima dell’incidente e cioè insegnante alle scuole
superiori. Riconosco che questo modo di vedere le cose è proprio
della professione del professore. Vero è che “il lupo perde il
pelo, ma non perde il vizio”. Mi fa piacere affermarlo: quello
dell’insegnante è un mestiere bellissimo e io adoravo farlo. Devo
ammetterlo, mi manca molto la mia attività lavorativa, quasi quanto
il camminare.
Il
gruppetto al quale appartengo è comunemente ritenuto dagli addetti
“stressante”. Sulle nove persone che lo compongono, ben cinque
non possono camminare da sole. Procedono con l’ausilio di una
carrozzina che non tutte sono in grado autonomamente di guidare.
Voglio
ora parlare di una giovane che, pur deambulando bene, presenta altri
problemi essendo una ritardata mentale. A peggiorare la situazione,
mi è capito di appurare, è che la sua condizione sia stata male
accettata dalla di lei madre. Per continuare la descrizione di chi
compone questo gruppo si deve considerare una altra giovane donna,
anche lei proveniente dall’ex R.A.M. Queste ultime due
rappresentano nel gruppo, quanto a capacità di camminare, il massimo
dell’autonomia.
Separatamente
nel piano c’è anche il gruppo maschile. La divisione durante il
giorno è però più che altro formale, in quanto i luoghi di accesso
sono comuni.
Per
l’intera giornata non deve essere facile, né poco faticoso
lavorare cercando di aiutarci a portare avanti le necessità
specifiche di ognuno di noi. Ciascuno, secondo quanto è in grado di
comunicare, tenta di rivendicarle. C’è da considerare che il loro
soddisfacimento dipende da molti fattori e non è sempre possibile
intuire di cosa abbiano necessità i disabili.
Non
è vissuto da me come un gruppo in cui io ci viva in modo ottimale,
ma è pur vero che la maggior parte dei componenti sono individui
amabili e non aggressivi. Inoltre c’è da dire, e lo hanno
assicurato, che cercheranno di cambiarmi collocazione; non mi rimane
che sperare in un eventuale cambiamento in positivo della mia
ubicazione.
Sempre
nella stessa sala da pranzo che funge anche da soggiorno è collocato
un altro gruppo femminile. Esso è formato da undici elementi, ma non
ci sono molte persone che devono procedere non autonomamente in
carrozzina. Lo compongono anche due sorelle gemelle che richiedono
una vigile attenzione. Di pratico, sotto certi aspetti di positivo,
c’è da dire che in questa unità il sabato e la domenica alcuni
pensionati ritornano a casa propria, vengono a prenderli i rispettivi
genitori.
Un
particolare da annotare è che in questo gruppo alloggia una donna
insieme alle sue due figlie disabili, le quali necessitano di
accurate cure. La sua vita non deve essere stata né semplice, né
facile. Questa sua travagliata esistenza deve aver inciso
inevitabilmente sul carattere: non molto socievole e un po’ troppo
burbero.
Dall’altro
lato del corridoio inizia la zona maschile. La stanza da letto, in
questo periodo mi ospita insieme ad un’altra ragazza, è l’ultima
e delimita la parte adibita alle donne. Della mia compagna di camera
non so l’effettivo motivo per cui è al Centro; non ha visibili
impedimenti fisici, vero è che parla proprio molto poco.
Eccezionalmente una volta mi è capitato di averla ascoltata
discutere con una sua cugina.
Credo
che il rapporto che abbiamo instaurato non sia malaccio, anzi penso di
andarle a genio. è
proprio vero che il linguaggio non è fatto solo di parole. Il
comunicare è fatto di sguardi, di intese sottili, di reciproci
consensi e non; io credo che abbiamo un buon dialogo. Mi ha anche
rivolto più di una volta la parola, ma io non cerco di forzarla più
di tanto; quando ha avuto necessità di me si è fatta capire.
La
mattina, quando cominciano ad alzare le persone, vicino alla mia
camera c’è una piccola rientranza e proprio lì è collocato un
giovane . Si possono udire alcune altre varianti sul
medesimo, oscuro tema e ancora parole che sembrano non avere un senso
preciso. Un nostro educatore, che era dipendente della medesima
struttura da cui lui proviene, dice che quando parla così si
riferisce nei confronti di una certa persona con la quale era
continuamente in disaccordo. La sua un po’ fastidiosa, ma ingenua
cantilena è certo una forma un po’ originale e inconsueta di
renderci conto che sta iniziando un’altra giornata. Durante la
giornata lo vedo pochissimo e non so esattamente se continua con la
sua, spero per lui, confortante ossessione.
La
mia giornata la trascorro molto davanti al computer, tramite il quale
mi è diventato più pratico intrattenere i miei rapporti di
amicizia. Dico questo considerando soprattutto lo speciale contatto
che ho con la mia amica e collega Michi. Ci scriviamo regolarmente e
mi telefona al mio cellulare quasi tutte le settimane, Tramite lei
conservo i contatti con le mie amicizie romane ed è sempre lei che
fa da trait d’union con il mio ultimo fidanzato.
Lui
è un attore teatrale che va spessissimo in giro per lavoro e non.
Michi ha conservato con lui un saldo rapporto di amicizia iniziato
tramite me. Ora sempre lei ci aiuta a mantenere vivo l’interesse
reciproco, in queste condizioni non è di semplice realizzazione, ma
è per entrambi importante. Mi tiene aggiornata circa la sua
carriera. A proposito mi è capitato ultimamente, per puro caso, di
vederlo in televisione in un film e in una fiction. Questa non
prevista occasione mi ha fatto veramente piacere.
La
vita è una grande scuola e sono contenta di frequentarla ancora,
anzi spero di essere una buona allieva. Mi è capitato di pensare a
come avrei accettato i probabili, possibili avvenimenti che sarebbero
potuti accadermi e come avrei potuto viverli. I fatti riguardanti la
vita di una persona possono essere tanti e di vario genere. In ultima
analisi porsi troppo “ se e ma ” non serva troppo a capire la
propria vita. Oggi devo accettare la mia condizione di “diversamente
abile” in modo da poter continuare a vivere il più serenamente
possibile.
Il
computer mi permette ciò che non mi sarebbe stato possibile
altrimenti fare, mi consente di vivere in modo inusuale nuove realtà
e rapporti. Come questo scritto, che in questo periodo da “disabile”
ho avuto la briga d’iniziare e spero di potare avanti.
Durante
la settimana un operatore mi porta ad Arezzo che non è affatto
lontana. è
questa una di quelle attività collaterali, di cui prima ho
accennato, che posso fortunatamente permettermi.
Queste
uscite sono veramente un toccasana, anche un fugace contatto con una
realtà “diversa” da questa, che mi aiuta a avere rapporti più
reali con ciò che mi circonda.
Vado
a fare delle piccole spese personali, visito qualche mostra che in
quel periodo viene allestita in zona e che mi viene indicata. A
proposito ho così potuto ammirare di Leonardo da Vinci la “Madonna
dei fusi”; insomma faccio un po’ di quelle cose che avrei amato
fare se non mi fosse capitato quell’incidente.
Una
delle persone che mi porta fuori è amica della “famosa” Loretta;
qualche volta mi è capitato di aver potuto beneficiare di un
incontro in città con lei. Questi saranno degli inconsueti
appuntamenti, ma lei ha sempre mostrato felicità nel vedermi e a me
danno proprio viva e grande gioia questi rendez-vous.
Sia
i gruppi femminili che quelli maschili al terzo piano credo che siano
alquanto pesanti; il fatto che qui ci siano anche persone più adulte
non è detto che semplifichi l’andamento delle cose. Corrisponderà
forse di più a quello che si vive all’esterno; dove si hanno
rapporti con gente la più disparata e senza troppi filtri, che in
istituto con molta cura e debito attenzione hanno messo in atto.
Beneficiare
di maggior personale credo che sarebbe un vantaggio sia per noi
degenti che per coloro che sono preposti a vigilare su di noi. Avere
a che fare con un gruppo di disabili non è cosa semplice, né
leggera. Lo si può leggere nel volto degli operatori del settore
quando finiscono il proprio turno di lavoro. è
necessaria molta competenza.
Come
in tutti gli ambienti anche qui c’è chi cerca di fare solo lo
stretto indispensabile, di impegnarsi il meno possibile. Molto
dipende con quale equipe di lavoro hai la fortuna di capitare,
comunque anche per questo motivo, ma non solo, avvengono spesso
cambiamenti.
Mi
è capitato di pensare a come avrei svolto io questo delicato lavoro
trovandomi al loro posto, credo che avrei avuto non poche difficoltà.
Per farlo bene ci vuole una dose non indifferente di altruismo, dote
questa non molto facile da trovarsi. E' necessaria professionalità, cosa questa che non si acquisisce in
pochi giorni e con superficialità. In questa specifica occupazione è
quasi indispensabile raggiungere una adeguata formazione, anche se
serve a volte l’improvvisazione. Purtroppo per sbloccare una
determinata situazione si procede per tentativi, spesso si raggiunge
una prova positiva. Lo scopo si è appagato quando si raggiunge una
situazione positiva.
VISITA
ALL'ISTITUTO MADRE
DELLA DIVINA PROVVIDENZA
Il
Centro ha fatto anche l’esperienza della Casa Famiglia. Quando nel
1994, causa taluni non gravi problemi burocratici, quella allora
esistente fu chiusa, non si desisté da tale esperienza. Anzi in un
prossimo futuro hanno pensato di ripetere l’operazione. Questa
probabile possibilità sarebbe proprio nella località qui di Agazzi,
utilizzando l’edificio che era la vecchia scuola comunale.
Quella
prima casa alloggio era situata in via del Trionfo ad Arezzo e circa
una decina di ragazzi del Centro erano della partita. La conduzione
che si era effettuata al suo interno era quella di ”tipo
familiare”. L’appartamento era composto da un atrio e le stanze
adeguate a poter esercitare i diversi interessi e/o necessità di una
persona adulta. Vi era un locale per vedere la TV, la cucina, le
varie camere da letto con i relativi bagni e per finire una stanza
per la lettura o più genericamente per attività varie.
Una
parte dei ragazzi che la componevano svolgevano attività lavorativa
presso aziende aretine (in ristoranti, in lavori di manovalanza o in
altre attività di questo genere).
Quando
la struttura dovette chiudere, i ragazzi presenti in quel momento al
suo interno furono trasferiti presso l’edificio principale del
Centro.
Alcuni
formano l’odierno gruppo “la comunità”; altri ragazzi,
componenti la prima Casa Famiglia, sono oggi inquilini in un
appartamento presso la zona di Guido Monaco. Questo immobile è sito
proprio nel centro commerciale della città capoluogo di provincia.
L’attività lavorativa di questi ragazzi è prestata sia presso
locali imprese di costruzioni, sia nella cucina che serve l’istituto
e suoi relativi annessi.
Cercherò
di descrivere il gruppo formante la “Comunità”. Quella odierna
di questo inizio secolo è composta prevalentemente da persone che
hanno più o meno trent’anni di età. Costoro alloggiano
nell’istituto in genere al primo piano e sono a tutti gli effetti
dei degenti. Si tratta di casi non più particolarmente preoccupanti. E' pur vero che chi soffre di disfunzioni pur meno gravi spera che il
male la smetta di accanirsi contro di lui.
In
questo gruppo non manca la possibilità di effettuare raffronti; di
casi se ne trovano purtroppo parecchi, è sufficiente dare intorno
uno sguardo anche fugace. Dal loro comportamento deduco che a questi
ragazzi non interessi troppo capire le molteplici vicende della vita,
ma l’aspetto più pratico, quello più immediato rapportandosi con
gli altri.
Il
loro modo di fare mi ha dato l’impressione che la maggior parte
dimostra una buona dose di sensibilità e una certa maturità. Quindi
mi sembra più giusto dire che solo in alcune funzioni sono
diversamente abili.
Taluni
componenti questo gruppo li avevo già conosciuti al bar che c’è
al centro di riabilitazione. C’è da precisare che da sola non era
mia pratica abituale raggiungere codesto luogo e non sempre agli
addetti era possibile condurmici. Quindi fino a poco tempo fa la mia
frequenza con quel piacevole luogo non era regolare.
La
mia odierna educatrice me lo aveva detto: “in un prossimo
futuro ti lascio andare in carrozzina da sola”. Voleva solo
essere più certa che almeno con la carrozzina manuale, meccanica,
non trovassi difficoltà a raggiungere quel luogo con tranquillità e
sicurezza. Dopo di che mi avrebbe concesso di utilizzare quella
elettrica e quando questo si è verificato ho provato anche grande
soddisfazione.
Dal
piano dove attualmente risiedo per poter raggiungere il bar devo
prendere l’ascensore. Può sembrare una inutile ripetizione:
ribadire lo stesso concetto, ma non è stato semplice raggiungere la
nuova autonomia. Per l’appunto l’educatrice voleva avere maggiore
sicurezza che, da sola e con quel mezzo elettrico, non avessi trovato
eccessive difficoltà a raggiungere i miei obiettivi.
In
proposito abbiamo anche fatto delle prove; infatti, approfittando
della bella stagione, sono andata più volte e da sola nello spazio
antistante l’edificio principale; è
sito fuori, all’aperto e sono riuscita a ritornare senza
particolari aiuti o problemi.
Vero
è che per riuscire con tranquillità in questa impresa ho messo il
massimo impegno ed attenzione. Il risultato mi ha pienamente
appagata; anche Cristiana ne è rimasta soddisfatta e così lei mi ha
dato l’autorizzazione di potermi muovere con più autonomia dentro
l’istituto. Per me questa è stata una gran conquista.
Sarà
sufficiente che avvisi chi in quel momento è proposto alla mia
tutela e a quella delle mie compagne della mia intenzione di
allontanarmi per un po’. Con la questa nuova, raggiunta possibilità
di movimento vado sempre più attestandomi verso una migliore realtà
di vita anche se da disabile.
Stavo
scrivendo dei ragazzi del gruppo della Comunità e c’è da dire che
essi sono lì per svariate motivazioni. I medici responsabili, oltre
che curare la patologia specifica del singolo, cercano di iniziarli
al mondo del lavoro, di educarli a tale impegno civico.
La
direzione amministrativa nell’ambito della propria struttura cerca
di impiegarli; per esempio li addestra nel riparo di alcuni pezzi
delle carrozzine meccaniche adibite a noi disabili fisici. Insomma
cerca di far acquisire a coloro che si occupano di questo settore una
conoscenza meccanica adeguata, spero che gli sia utile. Essendo il
loro lavoro immediatamente la riprova della loro efficienza e utilità
del proprio operato. Questo è un elemento importante e serve per
una più vera ed equa riabilitazione dei soggetti operanti.
è
da riconoscere quanto i responsabili del Centro si prodigano per
trovare un possibile lavoro, equamente retribuito, a chi sia in grado
di assumersi tale impegno. In vista di tale obiettivo si sono anche
rivolti al centro sociale del luogo dove ha sede l’Istituto e a
talune fabbriche del vicino entroterra.
Una
nuova pizzeria dovrebbe aprire nel circondario, andrebbe a sostituire
quella che già c’era e dava lavoro ai ragazzi dell’Istituto.
Peraltro questi erano sufficientemente soddisfatti di questo impegno
lavorativo. Penso che una probabile, sua nuova, prossima apertura
sarebbe vissuta con contentezza dalla gente del luogo. Non sarebbero
più costretti a raggiungere le cittadine dei vicini paraggi quando
vogliono poter assaggiare delle auspicabili prelibatezze. Come sono
costretti a fare ora quando vogliono restare fuori casa a mangiare
per diletto o passare una serata particolare.
Si
sono trovati a dover rinunciare a tale piacevole passatempo da quando
la precedente gestione ha chiuso i battenti. Non so bene i motivi
che hanno portato alla sua spero momentanea soppressione.
Come
ho già detto la direzione cerca, a chi è in grado fisicamente di
poter sostenere un lavoro, di impegnarli nell’apprendimento di un
mestiere. In pratica credo che abbiano la convinzione che un impegno
lavorativo possa aiutarli per un recupero più veloce e
significativo. Hanno potuto constatare quanto di fatto un tale
impegno possa aiutarli a superare talune di quelle anomalie che li
avevano portati a rivolgersi ad un centro di riabilitazione.
I
responsabili di quella che in senso lato si chiama “riabilitazione”
li preparano insomma per un reale, possibile impegno di persona
pienamente responsabile e agente. Questo è il loro obiettivo finale
e, a seconda dei soggetti che si trovano a trattare, si possono far
raggiungere vari livelli di autonomia. In questo avvicendarsi hanno
in me una fervida ammiratrice: ne sarei veramente felice. Forse non
avvertirei così forte il cocente rimpianto di quello che facevo.
Credevo nel mio lavoro e realizzare questa mia aspirazione sarebbe un
modo per poter rivendicare la validità della mia vita passata.;
proverei un responsabile orgoglio se potessi essere ancora utile.
La
scuola dovrebbe, nei suoi vari livelli di insegnamento, permettere ai
propri allievi di affrontare con adeguata serenità i molteplici,
diversi impegni esistenziali. La vita spesso spinge a risolvere al
meglio la propria esistenza. Riconosco che sarebbe come un grande
sogno poter occuparmi nell’ambito prima descritto.
Parlo
con qualche difficoltà, mi si capisce grazie alla amabile attenzione
e pazienza di chi mi ascolta.
Non
saprei io stessa indicare bene l’attività che potrei svolgere.
Sono però molto motivata per la realizzazione di tale obiettivo.
Può
darsi che mi stia volutamente preparando a future, possibili
evoluzioni in positivo della mia condizione. A questo proposito non
vorrei però farmi inutili illusioni. Una cosa è certa: non voglio
perdermi di coraggio e oso con orgoglio dire: “Fin ché c’è
vita, c’è speranza”, ”Volere è potere”.
La
direzione penso sia a conoscenza della mia voglia di essere impegnata
in qualcosa che possa servire non solo a me, ma anche ad altri.
Questo non per generosità.
Mi
auguro che trovino qualcosa su cui impegnarmi e che io sia in grado
di svolgere. Non ho amato mai molto oziare e ora più che mai non
desidererei essere dedita a questa attività. Se è vero che l’ozio
è il padre dei vizi, io penso che ne ho già parecchi e non è
proprio il caso che ne aumenti ancora.
Il
sabato e/o la domenica dei degenti della Comunità lasciano
l’Istituto e si ricongiungono alle rispettive famiglie. è
come se ciascuno di loro facesse un tuffo nella vita comune a quella
degli altri essere viventi, senza quelle protezioni che qui ci
vengono assicurate e di cui noi possiamo usufruire.
In
conseguenza non so dire gran che dei singoli tuffi e come sia andata
la loro nuotata. Mi è capitato di vederli il lunedì successivo;
osservandoli con attenzione ho letto nelle loro facce niente di
preoccupante. La percezione che avevo era che non fossero troppo
scontenti di essere per il momento rientrati in sede.
Vivendo
siffatto ambiente molte sono le tacite domande che mi pongo e vorrei
potessero avere una possibile risposta. Non per mera curiosità, ma
per fattiva, reale conoscenza di ciò che mi circonda.
Tornare
a provare certe sensazioni dopo molti anni di quasi vuoto è per me
come rinascere una seconda volta. Non penso che sia assurdo dire
quanto ho or ora affermato. è
comunque una forte emozione riprendere a vivere più pienamente.
Percepire
come nuovi i sentimenti che prima non mi accorgevo di provare.
Riuscire a captare sensazioni che con probabilità a causa di una mia
colpevole superficialità, mi erano rimaste oscure.
Essere
consapevole che la propria vita può svolgersi in modo quasi
meramente contemplativo è come rinascere. Ci si rende conto che è
necessario imparare a conosce in modo diverso, non è che quello che
si sapeva non conti più nulla. Spesso la conoscenza va, nel caso mio
attuale, usata in modo diverso da come ero abituata a fare in
precedenza.
Con
i ragazzi della comunità spero di avere altre occasioni ludiche da
vivere insieme; qualcuno che conosco un po’ meglio mi ha fatto
capire che sono contenti che io partecipi insieme a loro a certi
avvenimenti. Quanto mi è stato riferito mi ha fatto piacere in
quanto ho sempre il timore di essere diventata di peso agli altri,
d’impaccio insomma.
Capisco
bene che è né facile, né semplice avere a che fare con un disabile
fisico; per di più io ho conservato il lato del mio carattere
indipendente e un po’ ribelle. Spero che tutto ciò non renda
troppo complicato avere nuovi contatti, instaurare nuovi rapporti.
Vorrei molto avere la possibilità di effettuare ancora nuove
esperienze.
La
percezione che ho circa il mio futuro non può essere molto rosea,
però ho ricominciato ad assaporare la gioia di sentire la vita
correre dentro di me.
ASPETTO
AFFETTIVO E DINTORNI
Sempre
nel 3° piano alloggia un giovane uomo, che non fa mistero di essersi innamorato di una bella ospite. Sarà il nome fittizio della ragazza a cui mi riferisco, ma
non credo che lei ricambi questa sua attenzione. La vedo non molto di
frequente in quanto non risiede al mio piano e solo qualche volta mi
è capitato di in contrarla la domenica nel locale che è adibito a
chiesa. Credo che sia affetta da una forma di sclerosi multipla e
penso che il fine settimana ritorni spesso a casa propria. Non
abbiamo mai troppo familiarizzato, nel senso che raramente mi è
capitato di parlare con lei personalmente. Per quanto riguarda
lui forse si può dire che si tratta principalmente di un
problema ormonale. Tuttavia ho potuto più volte rimarcare che, da
quel particolare punto di vista, è anche troppo vivace, nel senso
che rivolge le sue attenzioni, voglio solo definirle con magnanimità
“particolari”, spesso e troppo indiscriminatamente.
Quando
c’era in servizio l’educatrice L., cioè non era ancora
andata in maternità, il ragazzo a cui prima mi riferivo si sentiva
come un po’ protetto.
Penso
che, forse prima che formassero il mio gruppo “R.S.A”,
la stessa educatrice deve averlo avuto già in affidamento.
Probabilmente lei deve aver assistito al nascere e all’evolversi di
tale specifico interesse particolare. Da parte del ragazzo con molta
probabilità il proprio innamoramento lo viveva dando a lei
l’involontario ruolo di “complice”. Sta di fatto che lui si
sentiva come se fosse più protetto in nostra compagnia e quando
riusciva a intrufolarsi nel mio gruppo, dove L. era educatrice
in primis, era ben felice.
Questo
avveniva più frequentemente nella bella stagione, quando scendevamo
e si stava più o meno tutti nel cortile antistante l’edificio
principale del centro “Agazzi”.
Forse si sentiva meno solo e involontariamente, anche se in forma
diversa, il mio gruppo assumeva il ruolo di scudo per le sue varie
vicende. Sta di fatto che non recava danno a nessuno, risultava solo
un tantino troppo petulante. Forse lo stare insieme a noi gli serviva
per non sentirsi isolato, più sicuro e anche più forte. Comunque
era sempre lui che avrebbe dovuto affrontare le eventuali conseguenze
delle situazioni che avrebbe creato.
Sempre
in questo piano c’è un degente che da molti anni dice che sposerà
una certa gentile infermiera. Quando aveva cominciato a dirlo aveva
fissato come data il 2000, che gli pareva non prossima. Ma tale epoca
è giunta e il fatto deve avergli creato qualche inevitabile
problema. La molto ipotetica cerimonia matrimoniale sarebbe stata
“troppo ingombrante”, in quanto aveva in teoria invitato
tantissima gente per quel, almeno per lui, tanto desiderato evento.
Non si capiva quale fosse stato il metodo di selezione degli inviti e
se mai ci fosse stato. Per il momento ha detto che la cerimonia è
stata spostata a luglio di un prossimo anno e non so bene che scusa
abbia addotto per giustificare tale rinvio.
E' un giovane uomo che ha una formidabile memoria. Quando gli altri
degenti ricevono visite lui seduta stante si aggrega e prende subito
informazioni presso il suo collega. Chiede oltre al nome anche altre
possibili informazioni su coloro che sono venuti a trovarlo. Anche
con me.più di una volta si è verificata una analoga vicenda. Ho
potuto così constatare, anzi devo riconoscere, che poi si ricorda
con molta precisione di quelle persone. In considerazione che le ha
viste spesso di sfuggita, fa molta attenzione e per lui deve essere
importate avere risposte ai suoi interrogativi.
Prima
dei pasti vengono a fargli una iniezione, credo per evitare che vada
sotto glicemia; non so molto del suo stato di salute di cui,
contrariamente alle sue vicende d’amore, lui non parla affatto. è
comunque molto gentile, forse solo un po’ insistente e petulante.
Qualche volta viene a trovarlo una sua cugina di Firenze e mi appare
molto felice; non è mai inaspettata tale visita, io vengo
ripetutamente informata di tale evento per molti giorni prima che si
verifichi.
Una
volta me l’ha anche presentata, non so che cosa lui sappia di me e
cosa le abbia raccontato; fatto sta che durante una sua visita ha
tenuto a conoscermi meglio e mi ha donato un regalo. Mi ha offerto
una bella guida storica di Firenze. La cosa mi ha lasciata quasi
sbalordita, a parte il merito del dono fattomi che ho apprezzato, ho
trovato il pensiero delicato.
Per
quanto attiene alle altre ospiti che alloggiano a questo piano posso
dire solo che ho notato un certo interessamento per l’altro sesso.
Mi è capitato di capire che non soltanto pensieri e desideri
eterosessuali devono albeggiare nei loro animi. Ciò può accadere
quando più persone, pur con storie personali diverse, vivono a
stretto contatto. La loro ubicazione qualche volta può non risultare
ottimale; non è sempre possibile vagliare le diverse possibilità
che si possono vivere.
Qualcuno
fra gli ospiti del Centro per il fine settimana ritorna a casa, ma
non penso che questo da solo, isolato possa essere più di una fugace
occasione di conoscenza. Penso che per riuscire a costruire un
rapporto affettivo siano necessarie condizioni di vita non solo più
ottimali, ma anche che abbiano una certa continuità.
So
comunque di casi che hanno avuto uno sbocco per il momento positivo.
Alcune storie affettive i cui soggetti hanno fatto parte di questo
gruppo sono tutt’ora in via di evoluzione. Sento che questo è
motivo di orgoglio non solo. Si tratta di elementi che si sono
succeduti nel gruppo della comunità. La coscienza che ancora ho
circa l’impostazione di quella ora presente è iniziata già da
diversi anni. Infatti gli elementi che la compongono mi paiono ben
amalgamati fra di loro. Mi è stato detto che hanno condiviso
molteplici esperienze, quando parlano di loro mi pare di percepire
un’area di importanti sfide. Ho sentito dire che molti dei singoli
che la compongono hanno fatto passi in avanti notevoli. Il livello di
partenza di molti di loro era alquanto modesto. Credo che
essenzialmente vogliano riferirsi al cammino nella strada della
riabilitazione fatto dai componenti questo gruppo. Il messaggio che
io percepisco circa i risultati che si sono conseguiti è positivo.
In un ambiente dove sono presenti disagi derivanti dall’essere
“diversamente abili” fa molto piacere respirare dove aleggia un
sano ottimismo.
Voglio
parlare qui di una ragazza, perché mi dà
l’impressione di risentire particolarmente una certa carenza
d’affetto. Prima la compensava con quello che sua nonna le dava,
non glielo faceva mancare, ma una volta morta anche lei è rimasta
carente e credo sia rimasta senza altri parenti prossimi.
I
genitori, entrambi tossicodipendenti, sono morti e penso che di lei
si occupi anche un tutore che qualche volta la viene a trovare, ma
non lo vedo troppo spesso. Qui per dire la verità cercano di
sopperire a tale mancanza, ma è molto difficile far fronte a un suo
naturale e quanto mai giustificato bisogno d’amore. particolarmente
affetta, sin dalla nascita, da una forma di lesione celebrale
congenita che le ha causato una noioso tipo di “scialorrea”: non
parla, emette solo suoni gutturali ed emana un odore molto intenso e
poco gradevole.
Non
è ridotta bene, se poi si considera che si trova comunque a vivere
una situazione di cui non ha alcuna responsabilità si può meglio
valutare quanto sia stata poco fortunata.
C’è
un ragazzo nel piano, credo affetto da “oligofrenia”, che come
lei non alcun problema nel camminare e le sta costantemente dietro;
avrà pure qualche problema a livello celebrale, ma credo che abbia
conservato intatto il suo “istinto” di maschio in cerca di
femmina.
Voglio
ora parlarvi di una graziosa ragazza che credo dedichi non tutti i
giorni, ma alcune ore di lavoro al bar dell’istituto; ci porta le
ordinazioni che facciamo ed è veramente molto cortese. Penso che normalmente lavori in una struttura economica
esterna al centro e penso che alloggi qui a causa dei problemi
familiari che devono averle complicato la vita.
Mi
hanno detto che sia fidanzata con un ragazzo della Comunità, a me
però non sembra di averla vista con qualcuno in particolare. Vero è
che è molto discreta, niente affatto invadente ed è un piacere
incontrarla.
Fa
parte della comunità un giovane uomo che credo dovrebbe avere sui
trent’anni di età, in questo scritto gli darò il soprannome di
“il Magnifico”, ciò mi sembra possa essere giustificato più che
altro dalla sua avvenenza che da rimembranze storico-culturali. Al
bar dell’istituto, dove solitamente lo incontro, ci capita di
scambiare volentieri qualche parola, devo dire che abbiamo
familiarizzato subito.
Nel
suo passato ci deve essere qualche problema di droga, ma a me non
sembra che ciò gli abbia lasciato delle rimarchevoli, irreparabili
conseguenze, come nel caso della ragazza di prima che si trova a vivere quella non
proprio rosea condizione a causa di due genitori drogati. Il
Magnifico dovrà fare comunque molta attenzione e immagino sarà
dura, ma non impossibile, io glielo auguro di tutto cuore. Credo che
come professione facesse il calciatore e avesse una vita varia e
alquanto completa. Chissà cosa aveva bisogno di cercare! Chissà
cosa gli mancava!
Scherzando
io dico che siamo vegetariani e che ci piace l’erba, è chiaro che
io mi voglio riferire alla marijuana, che in altri, remoti tempi mi è
capitato di fumare, non ho preso il vizio di quel fumo, né di altro
tipo di eccitante o altre sostanze; non considero nocivo prendere,
con grande soddisfazione anche ora, il caffè dopo i pasti.
Giocare
mi sembra un buon deterrente utile per sdrammatizzare una certa
situazione che alle volte si può venire a creare; credo che uno
status fatto di probabile tensione non aiuti molto gli interessati.
All’inizio
degli anni settanta anche in qualche ambiente universitario capitava
che si usassero droghe leggere; è allora che ho fatto conoscenza con
questa, che per alcuni è stata fatale, “iniziazione”. A me, come
poc’anzi ho detto, è andata bene non ho preso quel vizio, né ho
mai avuto voglia di andare oltre con esperienze in tal senso.
Da
poco ci sono state le elezioni per la scelta diretta del primo
ministro; c’è stata una riforma costituzionale ed è la prima
volta che in Italia ciò avviene. Mentre parlavo d’attualità, cioè
cercavo, mi sforzavo di avere una parvenza di conversazione, ho
scoperto fra i ragazzi della comunità uno simpatizzante del mio
medesimo gruppo politico. Non abbiamo avuto ancora occasione di
parlare molto insieme, ma mi riprometto di poterlo fare presto. Prima
del mio incidente questo genere di conversazione mi era molto
familiare; sono sempre stata attratta dall’aspetto socio-politico
dell’esistenza umana e mi capitava di prendere delle iniziative;
insomma mi piaceva occuparmene in prima persona.
Uno
dei due capo medici del Centro sa di questa mia passata, non troppo,
passione e quando può, ha tempo a disposizione, viene a discutere
con me. Credo di aver capito che la fede politica sia quasi opposta
alla mia, ma ciò non è di ostacolo anzi c’intratteniamo
piacevolmente insieme.
Solo
con i miei amici o al massimo con i miei parenti più stretti avevo
potuto affrontare nuovamente questo specifico argomento; sono molto
diverse sia nello spirito che nel contenuto queste conversazioni
rispetto a quelle che intrattenevo una volta. Nonostante ciò rimarco
quanto per me esse siano importanti non tanto per argomento che
trattiamo, ma perché facevano parte di una pratica di vita che mi
era abituale, quasi familiare.
Sono
veramente contenta che tutto questo sia ancora possibile!
Io
credo che il detto popolare “non si vive di solo pane”, possa
all’uopo trasformarsi in “non ci si guarisce di sole medicine”.
Non credo, nel mio caso, che potrei risolvere facilmente il grave
impedimento che mi impedisce di camminare da sola, ma parlare di
quello che più mi interessa aiuta molto a sollevare il mio morale e
alle volte ne ho bisogno.
Credo
che uno dei nostri medici Psichiatri ciò lo capisca bene, sono contenta di aver
incontrato una équipe
di persone come quella che ho potuto conoscere qui e che oltre ad
essere sufficientemente preparati non si mostrano insensibili.
A
questo proposito è stata una felice scoperta conoscere un po’
meglio il medico in capo: il dottor L. La mia conoscenza con lui
era stata puramente formale; ultimamente ha avuto un non grave
incidente e, forse anche perché siamo stati insieme ad altri allo
spettacolo di Proietti, sento la sua persona più familiare. Quando
mi è capitato di parlarci, ho avvertito un buon feeling. Scherzando
gli ho detto che forse ho sofferto un po’ di invidia, di gelosia
nei nostri confronti: voleva anche lui provare personalmente alcune
delle terapie che normalmente ci organizza, ci allestisce nel centro
che lui dirige. Ora conosce per esperienza diretta la validità e
l’efficacia di alcune cure, ma penso che non c’era bisogno, ne
era perfettamente a conoscenza!
Non
è che in questa organizzazione tutto funzioni a meraviglia e che
tutte le persone che vi lavorano siano tutti eccezionali e alcune
cose potrebbero anche migliorare. Come succede da altre parti, anche
qui si fa notare per la sua “voglia di lavorare saltami addosso”,
ma nonostante qualche spiacevole inconveniente non mi sembra il caso
di lamentarmi di come qui proceda l’attività di recupero. Dai
racconti che ho udito questo posto è quasi una oasi.
Io
ho avuto qualche non grave attrito con quelli che lavorano di notte,
le mie non troppo prevedibili chiamate forse creavano un’ulteriore
fastidio disturbo al loro già molto particolare lavoro; ho comunque
conosciuto anche persone professionalmente preparate e ben disposte.
Con le mie necessità ho un po’ scombussolato la routine che si
erano forse con fatica creata: cambiare i degenti a ore prestabilite
facilita il loro impegno ed evita tensioni.
Mi
è capitato in questi anni di forzata inattività di avere nella mia
testa pensieri non troppo positivi, cioè vedermi come una sorta di
larva umana. Ragionando mi sono però detta che pur potendo accadere
questo non è andata così; infatti se così fosse stato non mi
sarebbe potuto venire in mente di scrivere della mia esperienza di
disabile. Può venir fuori una schifezza, ma lo scrivere è un lavoro
complesso e non può essere ideato e realizzato da una mente per
l’appunto demente.
A
questo proposito per onestà debbo dire che anche prima, quando ero
al pieno delle mie possibilità, mi era capitato di avvertire il
disagio o il così detto male di vivere. Tramite questa non facile
esperienza alcune cose mi sono ora più chiare, sono spariti alcuni
grilli che imperterriti cinguettavano per il mio capo; è vero anche
che erano innocui e il loro canto mi diversificava la vita, ma
avrebbero potuto allontanarmi dagli obbiettivi che mi ero prefissata
di raggiungere il prima possibile.
In
questa odierna condizione ho potuto conoscere persone che
difficilmente avrei potuto incontrare se non mi fossi trovata in
questa situazione e sarebbe stato un vero peccato. In questi ultimi
anni ho ancora potuto beneficiare di diversi contatti e anche di
nuovi rapporti se a questo aggiungiamo idealmente quello che in
precedenza avevo realizzato si tratta della mia “vita”. Mi
appartiene, io con orgoglio la rivendico e se necessario la difenderò
da tutto e da tutti.
Lentamente,
un po’ per volta ho cominciato a meglio conoscere ed apprezzare
quello che qui si può vivere; a stretto contatto con altre persone è
come vivere in una minuscola città. La vita in comune spesso può
risultare dura, ma di fatto ti può comunque dare molto; in
precedenza non avevo fatto esperienze che possono rapportarsi a
quella che ora io chiamo “la mia comunità!. Di fatto ti aiuta e ti
stimola a partecipare più attivamente alle emozioni che non
riguardano solo te.
La
nostra assistente sociale non mi ha esclusa dalla gioia intima che ha
provato nella ricorrenza delle sue nozze d’argento. Io la ringrazio
anche perché non è sempre facile aprirsi agli altri e farli così
partecipi di ciò che in quel momento ci fa felici. Lei che al Centro svolge questo ruolo, mi ha fatto
conoscere l’emozione che procura il “viaggio di nozze” ripetuto
dopo venticinque anni di convivenza; non mi ha fatto sentire esclusa
da questa sua fausta ricorrenza. Come ho detto in questo periodo che
sto vivendo del tutto particolare “gestazione”, la futura nascita
della figlia della L., la mia educatrice; è qualcosa che vivo
molto da vicino e questo è soprattutto merito dell’autentico
rapporto che lei, non solo con me, ha saputo instaurare. Non sono
preoccupata, ma la futura nascita di questa bambina mi riguarda più
da vicino di quanto in situazioni più usuali sarebbe accaduto.
2°
PIANO VARIE REALTA'
Oltre
ospitare dei degenti, in questo luogo, operano dei tecnici specifici
nei laboratori e/o ambulatori che si occupano di fornire vari
servizi. Tutto ciò è adibito sia per le necessità interne, sia per
le innumerevoli richieste che provengono dall’esterno e che
riguardano i vari aspetti della riabilitazione. Sono allestiti qui
gli ambulatori delle varie logopediste e degli psicomotricisti, che
operano in questo istituto; già in un’altra parte del presente
scritto ho accennato al loro complesso e diversificato lavoro. Essi
si occupano principalmente di utenti esterni sia in età evolutiva
che adulti, con svariate patologie che interessano più che altro il
linguaggio e la sfera cognitiva (per esempio ritardo del linguaggio,
disturbi dell’apprendimento, afasie ecc…).
A
questo piano operano con un certo successo vari tecnici, che trattano
delle diverse attività occupazionali per i molti ospiti da
riabilitare che risiedono in questo istituto. C’è una operatrice che con molta sua personale partecipazione
porta avanti questo impegno ed ha allestito dei veri laboratori di
découpage,
patchwork,
telaio. Coloro che non hanno impedimenti fisici, né gravi carenze
mentali, e che sono impegnati in queste svariate occupazioni, lo
fanno con vivo interesse.
I
lavori che vengono realizzati partecipano alla mostra e vendita nelle
diverse fiere provinciali che vengono allestite nelle zone limitrofe;
questo fa sì che chi è impegnato in questo settore possa mantenere
vivo il contatto con gli altri artigiani.
Una
parte del ricavato lo si destina a comprare altro materiale e si
cerca quello adatto a fare nuove esperienze di lavoro. In occasione
delle festività di Natale e della Pasqua vengono fatti e preparati
per la vendita,con i metodi di lavoro che ho poco fa elencato,
innumerevoli oggettini: pezze di stoffa, sciarpe, decorative e belle
scatolette e tant’altro.
La
gente così con una fava prende almeno due piccioni: trova realizzati
dei prodotti sicuramente artigianali, pensati e realizzati con cura e
in tal modo risolve in parte il pensiero di che fare in regalo nelle
imminenti festività. Poi non trascurerà che così facendo incentiva
all’applicazione e al lavoro ragazzi portatori di handicap,
intervenendo così fattivamente nell’opera di recupero, di
riabilitazione.
I
lavori che vengono ideati nel laboratorio di ceramica vengono messi
in mostra in apposite vetrine-esposizione che sono poste all’entrata
dell’edificio principale del Centro. L’operatrice-artista, che
porta avanti con sagacia questo posto operativo di riabilitazione, si
chiama Giovanna. Lei tenta di educare all’arte non solo
decorativa una serie di ragazzi che alloggiano nei diversi piani
dell’istituto; essi partecipano attivamente in modi diversi alla
realizzazione delle opere, nella maggior parte ideate dall’artista
sopra menzionata. I prodotti che escono da questo specifico centro di
lavoro-riabilitazione sono generalmente molto belli e il loro prezzo
è veramente competitivo.
Può
succedere che, con il ricavo ottenuto dalla vendita degli oggetti di
cui ho parlato, coloro che hanno partecipato tale realizzazione
possono offrirsi una serata un po’ diversa. Può capitare che la
trascorrano in pizzeria o in un altro posto similare e chi è meglio
in grado di capirlo è ben felice di essere riuscito a realizzare
questa uscita sui generis.
Il
Centro è interessato a promuovere queste iniziative che oltre ad
essere validamente formative, sono gradite dai soggetti partecipanti,
i quali intervengono con vivo entusiasmo; anche se non è così per
tutti; infatti taluni sembra non si rendono molto ben conto che cosa
stiano elaborando. Credo però che sia molto importante per il loro
possibile recupero vedere ultimato un oggetto che sia un prodotto
finito e per il quale hanno impiegato le loro energie per
realizzarlo.
La
mente è molto complessa e credo che la parte operativa di noi possa
essere di grande aiuto per un suo migliore recupero; dico questo da
grande ignorante in materia, ma penso che le strade che sta
percorrendo il Centro non siano del tutto sbagliate, né tanto meno
inutili.
Vorrei
essere più esauriente circa le attività varie, ma non so molto
altro oltre al fatto che all’Istituto c’è chi si preoccupa di
far raggiungere il posto di lavoro a chi ha un’occupazione
all’esterno. Non si può dire che qui sia carente la partecipazione
della conduzione di un certo tipo di vita più attiva.
Secondo
me la struttura necessiterebbe di più personale per riuscire a dare
un più sereno compimento a tutti questi progetti; è importante che
non rimangono solo delle belle intenzioni e dato che quello che è
stato messo su è valido perché non pensare a un suo miglioramento!?
4°
PIANO: EPILETTICI, RITARDATI MENTALI, AUTISTICI E ALTRI
Quando
sono giunta in questo istituto, ancora credo non ci fosse un gruppo
distinto d’individui con le caratteristiche proprie delle persone
soggette ai vari disturbi che l’autismo comporta. Anche se la
patologia trova delle notevoli difficoltà a essere correttamente
diagnosticata, cercherò di scrivere quello che sono riuscita a
capire, forte e beneficiando soprattutto del fatto che viviamo tutti
insieme ospiti di questo istituto.
Il
soggetto che soffre di autismo tende all’isolamento e ad avere come
degli impedimenti che gli rendono più difficile dimostrare di
provare emozioni; anche se non accade in tutti i casi cerca di
rifiutare il contatto con gli altri. Il linguaggio è spesso assente,
se presente è “ecolalico”, quando cioè il soggetto ripete
semplicemente quello che sente e il rischio che possa isolarsi è
notevole.
Principalmente
la difficoltà che avvertono nel sapersi rapportare con sé stessi e
con gli altri è notevole ed è molto maggiore di quello che
normalmente accade. Mi rendo conto che detta così non specifica
molto bene circa la loro malattia e quindi aiuta poco a comprendere
la loro difficoltà a condurre una vita più conforme a quella degli
altri: sapersi rapportare come ho già detto.
Questo
vario manifestarsi è studiato con cura principalmente negli Stati
Uniti d’America; sistematicamente lì sono stati rilevati dei dati
che hanno permesso di arrivare a definire una metodologia mirata per
il recupero di questo molto particolare tipo di pazienti. Il gruppo
formatosi in questo istituto dovrebbe seguire il metodo “Teach”
messo a punto proprio nella Carolina del Nord.
In
Italia siamo ancora indietro per quanto riguarda lo studio di questo
specifico problema. Per caso vedendo: “Mi manda Rai 3”, una
trasmissione televisiva, ho saputo che, pur esistendo libertà di
cura, per problemi burocratici una famiglia con un figlio autistico
aveva difficoltà a farsi riconoscere il legittimo diritto economico
al rimborso delle spese di accompagnamento.
Il
padre medico e la madre infermiera di questo bambino autistico sono
abbastanza aggiornati in materia e poiché in Italia esiste libertà
di cura se ne sono avvalsi. A questa famiglia, dovendo affrontare la
spesa per il trattamento medico che hanno scelto di quattro milioni
mensili, le avrebbe fatto proprio comodo il riconoscimento del
diritto di cui sopra ho parlato. Non starò a dilungarmi sui problemi
burocratici di cui ho accennato, ma mi domando come vengono
affrontate le varie situazioni di coloro che sono soggetti a questa
malattia. Qui all’istituto durante la giornata mi capita di
incontrarli in chiesa, al bar, nel piazzale antistante l’edificio
principale; ora per me è tutto più facilitato da quando ho
l’autorizzazione a potermi muovere da sola con la mia carrozzina
elettrica, infatti così mi è più agevole avere contatti con gli
altri. La mia attuale educatrice “Cristiana” me lo aveva promesso
e sono lieta che si sia potuto verificare questo avvenimento che per
me è importantissimo. Ho potuto riassaporare e percepire cosa si
prova avendo un sensibile aumento nella possibilità di movimento e
non mi resta che riconoscere che è una sensazione veramente
fantastica.
ALTRI
Oltre
agli autistici qui sono alloggiati altri tre gruppi che raccolgono un
ampio spettro di disabilità, che può andare dal ritardo mentale più
o meno marcato a varie forme di handicap fisico.
Ci
sono dei degenti-ospiti che sotto l’aspetto formale si possono
considerarsi quasi autosufficienti, altri hanno bisogno di essere
aiutati e assistiti nell’assunzione del cibo, guidati nella cura
personale.
In
questo caso compito dell’operatore è quello di fare in modo che il
soggetto in questione riacquisti le capacità perse, nel contempo
mantenga quelle esistenti e far sì che possa migliorare sempre di
più per quanto concerne le autonomie personali (mangiare, vestirsi,
pettinarsi, farsi la barba, lavarsi i denti, ecc).
Oltre
a questo tipo di normale riabilitazione che viene portato avanti
tutti i giorni, vi sono anche tre laboratori nei quali lavorano i
ragazzi che hanno maggiori capacità manuali.
I
laboratori in questione sono:
1)
carta riciclata, dove viene recuperata carta di giornali e riviste
che vengono fornite anche dai degenti del Centro che abitualmente
leggono. Con questo metodo vengono realizzate diverse cose come
biglietti di augurio, partecipazioni per comunioni. Si realizzano qui
anche lavori con fiori secchi che si concretizzano poi in quadri,
composizioni e altro.
2)
laboratorio di pasta di sale, dove vengono fatti oggetti da regalo
per le varie occasioni. Ci sono dei lavori che, assemblati con altri
elementi in legno o in ceramica, sono una divertente variante del
tema di base.
Come
gli altri ragazzi dell’istituto, anche quelli che alloggiano a
questo piano seguono i diversi cicli riabilitativi specifici: tutto
ciò che avviene presso gli ambulatori fisioterapici che l’istituto
ha messo su e che sono a disposizione sia degli utenti interni che
esterni.
COSTA
ADRIATICA, ROMA E ARGENTARIO
Tutti
gli anni, anche prima che io venissi al Centro, nella bella stagione
durante l’estate, la direzione organizza delle trasferte al mare e
pagando una piccola cifra in più della retta usuale si può aderire;
poi si traduce in una vera e propria breve vacanza, ma molto gradita.
Credo che sia un gran lavoro preparare dei soggiorni adatti ai
diversi tipi di degenti che si trovano in questo istituto. Per due
estati siamo andati nella riviera romagnola, vicino Rimini, in
alberghi che avrebbero dovuto abolire se le avevano le barriere
architettoniche. Di quelle esperienze ho un ricordo molto positivo e,
approfittando che eravamo in zona, gli educatori che erano venuti ad
assisterci ci hanno portato a visitare “L’Italia in miniatura”.
Così
ho rifatto con un giro “in gondola” in una Venezia ricostruita.
Nella vera città lagunare mi è capitato di soggiornare varie volte
e anche a lungo. In diverse occasioni ho portato a visitarla anche i
miei studenti, che sono rimasti sempre molto meravigliati davanti a
quel quasi miracolo; è così che percepivo, avevo l’impressione
che vivessero quella città del tutto particolare.
Devo
ammettere che tutta quella gita e in più quell’Italia tutta
condensata furono per me una molto gradita sorpresa; la ricostruzione
di alcune parti di città, come quelle che avevano realizzato di
Firenze e di Roma, mi avevano letteralmente affascinata.
Come
l’anno successivo è stata unica e irripetibile la visita di
“Mirabilandia”, che i nostri coraggiosi educatori, nonché
intrepidi accompagnatori, in quella avventura ci avevano proposto. Il
ricordo del panorama che avevo potuto godere, dalla giostra; “La
ruota,” veramente altissima, non mi ha più abbandonata, ma tutta
la giornata fu fantastica.
Ora
che ci penso, credo che in quella occasione avevo dimenticato di
essere una disabile, mi sentivo a mio agio e non mi meraviglio che,
benché fatta per i giovani, sia normalmente e con soddisfazione
frequentata da gente di tutte le età.
Riandrei
volentieri da quelle parti, oltre che per la cortese accoglienza
degli emiliani, anche per ritornare in quel parco giochi e assistere
ad un eventuale nuovo spettacolo che danno per finire la visita in
bellezza.
Ho
così assistito a quello che avevano chiamato “Hollywood”, dove
c’era un gioco sapiente di moto che si rincorrevano e poi si
fermavano improvvisamente. Non lo ho trovato troppo diseducativo
perchè era palesemente chiaro di essere uno spettacolo, da non farsi
nella realtà.
Ho
inoltre un felice ricordo della gita che abbiamo fatto a Roma, in
occasione dell’incontro che nei suoi “Mercoledì” il Papa ci ha
concesso; io sono romana e abito a Trastevere, proprio vicino a San
Pietro. è
stato con vivo piacere che ho ripercorso quelle strade che erano
abituali; dal pullman che ci trasportava ho anche rivisto dove
insegnavo, come pure Castel Sant’Angelo, ponte Sisto che,
abitandogli molto vicino, lo attraversavo più volte al giorno.
Questo
vissuto che mi tornava alla memoria, insieme alla stretta di mano
elargitami dal Pontefice, sono stati dei fatti veramente molto
emozionanti. Il Papa Giovanni Paolo II, da come lo ricordavo, l’avevo
trovato molto invecchiato e stanco; tutte le alterne vicissitudini
della sua vita l’hanno inevitabilmente segnato, ma si percepiva che
era sempre estremamente generoso. Nel pomeriggio siamo andati alla
basilica di San Giovanni; è nel quartiere che l’ospita che ho
trascorso tutta la mia infanzia e giovinezza essendo nata a piazza
“Re di Roma”. Il tutto è stata una vera e propria rimpatriata
che non mi aspettavo di poter vivere, ha aumentato, per quanto era
possibile, la gioia di quella uscita inconsueta. I frati passionisti,
gli stessi che gestiscono il centro Agazzi, sono stati proprio loro i
maggiori artefici di quella particolare giornata e proprio nel
quartiere di San Giovanni siamo stati ospiti nella loro casa madre.
Quest’anno
Cristiana e gli altri educatori, che sono venuti con noi
all’Argentario, già da tempo stavano lavorando alacremente alla
preparazione del viaggio; lo hanno fatto anche durante le normali ore
di lavoro e così ho potuto seguire tutto lo svolgersi
dell’operazione: dalla ideazione alla giusta programmazione in tute
le sue fasi.
Questo
ulteriore lavoro extra che hanno fatto ci ha permesso di partire più
tranquilli. Da quanto mi ricordo, anche quando lavoravo io se
qualcuno non si rimboccava le così dette maniche, le cose
difficilmente prendevano il via e meno male che anche questa volta si
è trovato chi ha svolto molto egregiamente questa incombenza.
E' stato un viaggio favoloso, anzi l’esperienza che ne ho potuto
trarre è stata molto interessante e, come ho già detto in un’altra
parte di questo scritto, è durante il suo svolgimento che ho potuto
conoscere una persona molto cara: Padre Paolo, che mi ha raccontato
un po’ la storia di questo centro e di alcune sue vicissitudini.
LOURDES
Di
particolare questa estate, oltre che essere stata all’Argentario,
sono andata tramite l’UNITALSI e i miei amici di Firenze, i Coda
Nunziante, nuovamente a Lourdes. Devo riconoscere che, ormai meno
attratta dalla novità del luogo-ambiente e dalle sue
caratteristiche, ho vissuto in maniera diversa questa esperienza;
sono entrata meglio in merito al pellegrinaggio vero e proprio.
Il
mio gruppo era perfettamente organizzato ed eravamo anche numerosi,
venivamo da tutta la Toscana. La partecipazione massiccia di
pellegrini da tutta Europa mi ha nuovamente sorpreso. A noi non
restava che godere delle particolari funzioni che la scrupolosa
organizzazione si era preoccupata di allestirci; quei giorni
trascorsi, non solo in preghiera, sono stati magici.
Prima
di essere disabile non vi ero mai stata, ora potrà sembrare facile
dire che avrei voluto fare questa esperienza non da ammalato, ma come
anonimo pellegrino, è
stata questa la sensazione che ho avvertito nel passato, recente
viaggio.
Ci
accompagnavano, provvedendo alle nostre necessità, molti volontari:
crocerossine e barellieri. Sono rimasta negli anni passati in
contatto con alcuni di loro e durante l’anno ci scriviamo. Ecco che
in queste occasioni il mio computer mi è molto utile, direi
indispensabile. Come mi sarà capitato già di affermare, amo molto
conservare rapporti sociali. Nella vita che conducevo prima
dell’incidente, essi erano una presenza importante nella mia
quotidianità.
I
miei amici di Firenze, i Coda Nunziante, sono sempre pieni di
attenzioni; quest’anno con loro hanno portato a fare il
pellegrinaggio, con funzioni di barelliere, un caro amico di famiglia
“Teo”. è
questo il suo nome ed è venuto insieme alla sorella, la quale non
era una novità per me in quanto avevo avuto modo già di conoscerla.
L’incontro con lui si è rivelato per me una quanto mai gradita
improvvisata e abbiamo, forse complice il particolare ambiente,
legato quasi subito.
Parlando
abbiamo scoperto di aver fatto la stessa facoltà universitaria e di
aver avuto diversi professori in comune. Soprattutto uno ci ha
permesso di presto familiarizzare. Si tratta del professor “Federico
Caffè”: insegnava Politica Economica e di lui purtroppo si sono
perse le tracce. Da un certo giorno sulla sua persona è sceso il
mistero. Non è stato possibile rintracciarlo e non se ne sa più
niente; sono ormai passati alcuni anni, ma l’arcano persiste.
Proprio Teo mi ha detto che c’è qualcuno che ha pensato di girare
un film sulla sua persona, la qual cosa non mi meraviglia troppo.
Ricordo
bene nel 1968 durante l’occupazione della facoltà di Economia e
Commercio, che ancora era sita a piazza Fontanella Borghese, era
costantemente presente. Non credo che fosse d’accordo nelle
modalità con noi che occupavamo, ma non se la sentiva di abbandonare
il suo posto di lavoro. Voleva essere comunque presente e impegnarsi
a capire quello che stava succedendo. è
stato un maestro anche di vita e spero di aver imparato un po’ del
“suo grande mestiere”, di essere stata come insegnante almeno
degna di essere stata una sua discepola. Quando io ho fatto
l’università si faceva il piano di studi, che poi doveva essere
approvato e così ho potuto dare vari esami della sua interessante
materia. Era presidente nella commissione di laurea quando è toccato
il mio turno e ho ricevuto da lui il bacio accademico. Penso di aver
concluso in bellezza il mio corso di laurea, reputo che meglio di
così non avrei potuto terminare questa fase della mia vita.
Aver
avuto il professor Caffè in comune ci ha aiutato molto a avere un
rapporto egalitario, anche se le circostanze erano molto particolari,
Credo di aver beneficiato al massimo dell’ambiente sano e
costruttivo che i volontari riuscivano ad allestire. L’area di
autentica fratellanza che si respirava difficilmente permetteva ai
disabili o comunque a chi non stava bene di non sentire il peso della
loro diversità.
Ho
affermato e ribadisco che la sua conoscenza ha completato la mia
“laica trinità”, in quanto percepita da me ha questa
caratteristica, ma non volgare, anche nel senso lato del termine.
In
primis c’è stato Cesare, poi il fratello e i genitori Coda
Nunziante. Per finire la sua persona è stata come un regale
incoronamento a questa fantastica esperienza..
A
Lourdes credo di aver beneficiato al massimo dell’ambiente sano e
costruttivo che i volontari riuscivano ad allestire. L’aria di
autentica fratellanza che si respirava difficilmente permetteva ai
disabili o comunque a chi non stava bene di sentire il peso della
propria diversità.
Spero
di riuscire a ricambiare la gioia che la famiglia Coda Nunziante,
nobile di nome e di fatto, è riuscita a farmi vivere.
CONCLUSIONI
Quanto
ho scritto si basa sulle idee che mi sono formata vivendo qui da più
di tre anni e da quello che ho appreso stilando questo scritto. C’è
da dire che, senza il sistematico ausilio che ho avuto nell’utilizzo
del computer da parte dell’operatrice S., mi sarei
trovata letteralmente in mare aperto. Oltre a liberarmi dai “casini”
che mi capitava di imbastire, ha capito e condiviso con me l’enorme
libertà che questo apparecchio è in grado di arrecarmi. Non mi ha
fatto sentire sola e, avendomi consentito di realizzare quello che mi
ero prefissa, cioè di scrivere anche queste memorie, si è creata
una sorta di simbiosi con il mezzo, che mi ha permesso di raggiungere
lo scopo.
Come
mi è capitato di affermare, non credo ci siano diverse realtà con
cui è possibile confrontare il lavoro svolto da questo Centro, le
eventuali prospettive e i risultati conseguiti. Se così non fosse
sarebbe una bella opportunità che credo andrebbe curata e seguita;
penso che potrebbe portare dei considerevoli vantaggi per le diverse
unità che si trovassero a operare nel settore della riabilitazione
sia fisica che mentale.
Attualmente
non sono in grado di procurarmi delle informazioni su questo
specifico argomento e, prima di aver l’incidente che mi ha reso
emiplegica, mi interessavo prevalentemente di altre cose; insomma la
mia conoscenza circa questo argomento era alquanto limitata. Ora
conosco questa realtà in quanto faccio parte di essa, essendo una
disabile fisica e vivendo la mia quotidianità a contatto con altri
disabili sia fisici che mentali.
Ho
già detto come sono approdata in questo istituto e in precedenza,
per poter avere il domicilio qui ad Arezzo, indispensabile per poter
entrare in questo centro, sono stata ospite in un ricovero di anziani
a San Giuliano. Quel posto mi è stato utile per poter accedere qui,
tanto più che era in via di dissolvimento e appena è stato
possibile ho abbandonato con molto rammarico quell’ospizio per
anziani. Se si considera che non avevo ancora cinquanta anni quando
sono entrata come residente in quel posto, lascio immaginare come mi
sia potuta trovare a trascorrere le mie giornate chiusa fra quattro
mura. L’unica variante possibile ai miei libri e riviste erano gli
scarsi contatti con le persone che risiedevano lì.
Considerando che non aveva, né poteva avere, le
strutture adatte per soddisfare anche in minima parte le attuali
necessità e che, nonostante i limiti riscontrati, costava pure
abbastanza, mi è parso di aver raggiunto in anticipo il paradiso
quando finalmente sono giunta al “Centro di Agazzi”. Esso
possiede una struttura fisioterapica ragguardevole, peccato che ogni
tanto per un po’ mi sospendono le sedute di fisioterapia; i motivi
che via, via vengono addotti non li ho ben capiti o meglio non sono
riusciti a convincermi della eventuale validità di questa momentanea
sospensione.
Almeno
io non sono riuscita a capire il motivo per cui mi trovo a
interrompere una terapia tramite la quale trovo un gran sollievo;
soprattutto nei confronti di quei veramente fastidiosi dolori ai
quali da dopo l’incidente sono soggetta. Sono disposta a pagare a
parte sedute, se la retta che paghiamo non può considerarle incluse;
mi piacerebbe capire il vero motivo di queste interruzioni, visto che
ne riporto un giovamento che mi dà parecchio sollievo.
Sono
di fatto pochi i motivi di non completo soddisfacimento relativo a
questa mia odierna situazione; ho dovuto soprattutto lavorare molto
psicologicamente per accettare quello che mi era successo. Non sempre
tutto fila liscio: è normale e qualche volta cedo un po’, ma so
bene che la depressione non deve albergare nel mio animo, per poter
vivere quanto più serenamente mi è possibile la vita che mi resta
da trascorrere.
Per
quanto attiene alle mie compagne di piano alcune frequentano
quotidianamente il laboratorio di ceramica, tenuto da quella che io
definisco “l’artista”. Lei è veramente molto disponibile:
oltre ad avere un impegno particolare, mi risulta che chi va nel suo
laboratorio è ben felice di questa realtà che lo riguarda.
Per
coloro che hanno particolare impedimenti negli arti, ma comunque
camminano, c’è un terapista specifico che gli fa fare
sistematicamente un po’ di ginnastica.
Il
tipo mi appare cordiale e, anche se non posso essere una sua allieva,
a volte si intrattiene velocemente anche con me; ciò mi fa molto
piacere. La mia conoscenza nei suoi confronti è puramente
superficiale, ma le altre mie compagne mi sembrano ben felici quando
lui giunge per intrattenerle.
L’amministrazione
tramite i nostri educatori durante l’anno ci organizza dei festini
ed è in queste occasioni che vedo sistematicamente Paolo, colui che
al centro si occupa di curare alcuni pazienti tramite la musica. Non
so assolutamente in che cosa consista questa terapia, posso solo
immaginare. Per quanto attiene al suo intervento nelle feste che si
tengono durante l’anno, posso dire che è molto piacevole la sua
presenza. Persone che difficilmente vedo, in situazioni più usuali,
aggregarsi, durante queste piacevoli riunioni si intrattengono con
più facilità con altri. L’unico limite, a voler essere
meticolosi, può essere riscontrato in una sovreccitazione, che però
non mi pare si manifesti in atti particolari. Insomma quando dicono
che parteciperà lui e insieme ad alcuni ospiti-ammalati suoneranno e
canteranno, mi par di capire che qualcosa faccia piacere un po’ a
tutti.
Purtroppo
non tutti sono in grado di manifestare il proprio gradimento; qualche
persona non parla, altre si manifestano con comportamenti un po’
sconnessi, secondo la patologia della propria malattia. Di rimando ci
sono coloro che presentano tali problemi, in quanto il loro handicap
è di natura più propriamente fisica. Come sarà facile constatare,
questo assembramento di persone a volte può risultare di non facile
gestione e coloro che vi lavorano lo sanno bene.
Sono
sufficientemente contenta di fare parte di questa realtà, sono
soddisfatta nel constatare che qui è possibile conservare e avere
rapporti sociali soddisfacenti; l’ambiente ha un clima di una
giusta permissività e disponibilità.
Quanto
ho ora affermato me lo ha confermato Antonella, una volontaria che ho
conosciuto quando risiedevo in un altro luogo e con la quale ho
conservato in questi anni un bel rapporto, quando capita che mi viene
a trovare sono ben lieta che si trovi in un posto per quanto
possibile sereno e disponibile. è
reso così dalla disponibilità e bravura di alcuni addetti alla
nostra molto particolare riabilitazione; anche se non si può dire
così di tutti gli addetti a tale mansione, ma è giusto riconoscere
che qualcuno fra gli educatori è, in questo settore, un valente e
bravo professionista.
MARIA
LUISA MICCI
Cara Maria Luisa, sei una persona speciale e qualcuno in cielo ha voluto che ti incontrassi, ci vediamo presto - Damiano
RispondiEliminaMi fa piacere che mi hai trovata e che hai cominciato a leggere il mio scritto. Spero con la mia logopedista di riuscire ad aggiornare questo sito e così completare il mio libro, C'è anche un articolo su Lourdes.
RispondiEliminasono io maria luisa...
EliminaBel blog!!! non avevo dubbi sulle tue capacità narrative. Spero a BREVE di avere i nuovi sviluppi.
EliminaCi vediamo prestissimo.
Alexandra.
Buon giorno,
RispondiEliminaMi chiamo François Servel, e il suo libro mi ha stato prestato dalla nostra amica comune Françoise Aurran. L'ho letto con molta emozione. Mi ha chiesto di tradurlo in francese, perché non capisce l'italiano Prima di farlo, voleva chiederla l'autorizzazione.
Auguri
François